Dignità o servitù di Franco Di Giorgi
Quanto siamo disposti a fare e a dare in più per la nostra dignità? Per quanto oziosa e noiosa, occorre porsi questa domanda. E poi anche rispondervi. Lo stato di abbandono in cui ci troviamo, infatti, dimostra impietosamente che non solo la considerazione della nostra dignità si è ridotta ormai quasi a nulla, ma che quella domanda ci sfugge, è fuori della nostra portata, resta impensata e quindi senza alcuna possibilità di risposta. In tal modo, non possiamo nemmeno dire di sentirci indignati se qualcuno, approfittando di questa nostra indolenza, viene a coltivare le sue piante velenose proprio su questo terreno desertico ed espropriato, cioè sulla nostra coscienza. Certo, non ce ne verrà nulla da quell'impegno. Nulla almeno di utile o di immediatamente vantaggioso. Se oggi però continuiamo ancora a intrattenere con la nostra coscienza un rapporto mercantile, esprimibile nel do ut des, è perché abbiamo avuto già più volte l'opportunità di vendere la nostra dignità al miglior offerente. Sicché, pur volendo recuperarla, ora non sapremmo neanche più dove andare a trovarla. Non sappiamo in che mani sia, in quale mercato sia stata messa all'incanto e quanto valga. Ovvio, la pigrizia e la stanchezza, come pure la rassegnazione che esse alimentano, finiscono con l'ottenebrare la mente e con l'appesantire il cuore. Senza quel briciolo di dignità - la quale, sola, potrebbe forse redimerci, liberarci da questo funesto torpore che ci attanaglia l'animo - finiamo così col diventare a noi stessi e per gli altri solo delle vite a perdere e da consumare. Senza la dignità appariamo a noi medesimi simili a gusci d'uovo, vuoti e privi di vita, e finiamo con l'annoiarci di questa nostra semplice presenza, grigia e monotona, con l'avere a nausea l'ex-sistenza, che corre veloce e senza senso, benché venga, nella dura attesa, incessantemente riempita da cose che nascono già morte e che ci muoiono tra le mani. Un essere ex-posti che ci si stanca persino ad assecondare e dal cui indugio, in qualche modo, se fosse possibile, ci si vorrebbe liberare, una volte per tutte. Solo che, ecco, essendo stati privati della dignità, essendo stati ridotti a esseri indegni, non abbiamo più neppure il coraggio di quella autoliberazione, perché c'è coraggio dove c'è dignità. Eccoci, dunque, senza dignità e senza coraggio. Esseri inerziali. Spinti e dominati solo dall'istinto di sopravvivenza. Alleggeriti della nostra dignità e ingravidati nei nostri avidi visceri, privati sia della domanda che della risposta, e quindi del tutto deresponsabilizzati, eccoci di nuovo decisi a passare freddamente sul cadavere del nostro vicino, con lo sguardo spento e rivolto verso il nulla.
Ivrea, 15 novembre 2014
Dignità o servitù di Franco Di Giorgi
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