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Ubaldo Dore': il presepe di mio compare Peppino
Il presepe di mio compare Peppino
di Ubaldo Dore'


E' Natale, nel mio paese lo annunciano le luminarie installate lungo le strade, ma senza che si respiri purtroppo quel clima gioioso tipico della festa più attesa dell'anno. Mi sembra che gli addobbi siano lì solamente per rendere le vie più illuminate, non per mantenere vivi i simboli della tradizione e creare la magica atmosfera natalizia di una volta, che il solo ricordarla mette tanta nostalgia.
Alcune persone sostengono che il Natale di oggi è ancora come quello dei tempi andati e dicono di me che ho idee non più al passo con i tempi e non accetto il cambiamento, la modernizzazione; che sono portato a considerare il presente insoddisfacente e negativo rispetto a un qualcosa che ''c'e' stato''. Si tratta di un'opinione che, anche se non generalizzata, mi ha indotto a immergermi in una riflessione e a domandarmi: "sono io che vivo ancorato a un mondo che non esiste più, che non riuscendo ad adattarmi al nuovo che avanza provo la nostalgia per il passato o sono talmente cambiate le cose da destare in me il rimpianto per ciò che è "vecchio"? ".
Per avere la risposta, ho ordinato le mie idee e mi sono concentrato con la memoria agli anni della mia gioventu', agli anni in cui nelle aree interne del sud Italia il progresso incominciava a fare capolino e il solo approssimarsi della festività bastava per mettere nelle famiglie la stessa ansietà che mette l'attesa per la nascita di un figlio; agli anni in cui l'arrivo di Natale era annunciato da antiche e belle tradizioni che facevano sognare grandi e piccini, aprivano il pensiero alla povera gente e portavano con sé tante emozioni, tanta dolcezza di sentimenti e tanta pace nei cuori da far diventare tutte le persone più buone e tolleranti ...
CONTINUA


Download del saggio completo di Ubaldo Dore'
"Il presepe di mio compare Peppino"

Vi racconto "Lu Cumbitu" di Ubaldo Dorè
VI RACCONTO "LU CUMBITU"
di Ubaldo Doré


Tradizioni limpidesi

Nell'entroterra calabrese esistono alcuni piccoli borghi disabitati, dove tra l'altro non è facile arrivarci sia perché sorgono in luoghi impervi sia per le poche strade di accesso perlopiù difficili da percorrere e, ce ne sono anche altri ubicati in località facilmente raggiungibili in cui tuttora vive un numero molto ridotto di persone in prevalenza anziane.
CONTINUA...

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La servitù feudale nella contea di Arena
Ci sono 1 risposta/e, l'ultimo messaggio è stato inserito il 25 agosto 2021 alle ore 18:52:54 da Admin
Risposta:
NOTE del saggio "La servitù feudale nella contea di Arena"

1) Rosario Villari: Storia Medievale, Ed. Laterza, Bari, 1982, p. 5.
2) Mari Mazza: Lotte sociali e restaurazione autoritaria nel III secolo d.c., Laterza Ed., Bari, 1973, p. 582.
3) E. Power: Vita nel Medioevo, Einaudi Ed., 1966.
4) G. Giorgetti: Contadini e proprietari nell'Italia moderna, Einaudi Ed., 1974.
5) G. Barrio: De antiquitate et situ Calabrie (citazione presa da G. Galasso: Economia e società nella Calabria del Cinquecento a pag. 293.)
6) H. Swinburne: Travels in the two Sicilies ... citato da Rosario Villari: Mezzogiorno e contadini nell?età moderna, a pag. 6.
7) G. Galasso: Dal Comune medievale all'Unità, Laterza Ed., Bari, 1969, p. 53.
8) F. Poerio: Storia dello Stato di Arena di Calabria, Ed. Mapograf, Vibo Valentia, 2003.
9) E. Pontieri: Tra i Normanni nell'Italia meridionale, Ed. Scientifiche Italiane, Napoli, 1964, pp. 111-112.
10) F. Principato: Nella mia Calabria con la macchina del tempo, Ed. Brenner, Cosenza, s. d., rispettivamente pp. 204-205 e p. 195.
11) G. Candeloro: Storia dell'Italia moderna, vol. primo (1700-1815), Feltrinelli Ed., MI, 1ª edizione 1956, p. 147.
12) F. Poerio: Storia dello Stato di Arena ..., op. cit., pp. 125-126.

Precisazioni Reliquario della Santa Croce di Arena
Precisazioni sul Reliquario della Santa Croce di Arena


Reliquario creato dai conti Concublet nel Medioevo.



di Francesco Romanò datato 10 luglio 2021 (2 pagine)

San Lorenzo di Dasà
San Lorenzo di Dasa'



Scritto di Francesco Romanò del 18 luglio 2021 (2 pagine)

Opuscolo di Francesco Romanò:
San Lorenzo: Dal monastero basiliano al parco delle rimembranze

Mastru Fuanzu la fontana e il mulino
Mastru Fuanzu

Salendo in direzione Arena, usciti dall'abitato di Dasà, e proseguendo per circa trecento metri vi è, sulla destra, una fetta di terreno denominato nel dialetto dasaese Mastrufuanzu.
Luogo conosciuto nel paese di Dasa' per le tre fontane d'acqua corrente, proveniente dal soprastante monticello, che un tempo erano presenti - prima dell'apparire delle fontane pubbliche nel paese - e fornivano l'acqua necessaria agli abitanti dasaesi per le loro primarie esigenze.
Con l'avvento delle fontane pubbliche nell'abitato, l'acqua si prelevava dalle tre fontane di Mastrufuanzu soltanto in estate poiché era fredda; questo al tempo in cui non esistevano ancora in paese i frigoriferi e le acque minerali.
A tal proposito mi piace inserire, in queste righe di storia locale, una datata poesia dialettale intitolata "Vecchia fontana" di Giuseppe Bruni proposta nel gruppo Facebook Dasa' nel cuore (2020):

Vecchia funtana di mastru Fuonzu
mi canuscisti di picciriju,
quando cu mama venia da manu
mu pigghiu acqua cu gozzarieju.
Cu tri cannali acqua dunavi
di notti e juornu sempe currivi
allu paisi tu dissitavi
ed ieri frisca cchjù di la nivi.
Alla sirata paria 'na fera
cui s'acchiappava e cu' cantava
guozzi e cortari tanti 'ndavia
chi cchjù di una sinda ruppia.
Mo' non si bona ti rovinaru
'nu cannalieju di tia dassaru
priegu a cù pote sira e matina
finda chi tuorni com'ieri prima.



Nella poesia emerge la nostalgia dell'autore per la fontana come era fatta quando egli era piccolino. Sottolinea che al tempo era dotata di tre canali i quali fornivano acqua fresca e potabile in abbondanza. Continua con il rilevare che i lavori di ristrutturazione della fontana l'hanno rovinata lasciando un solo piccolo canale. Ed egli dispiaciuto prega, sia la sera sia la mattina, chi ha il "potere" affinché possa farla ritornare com'era prima.


Continua ...

Scarica il file completo pdf



Documento presente anche su Academia.edu Mastrufuanzu


Author: Domenico Capano


Opuscolo Monastero Basiliano San Lorenzo Romanò
Di seguito si rende disponibile il file (scansione in pdf) contenente l'opuscolo del prof. Francesco Romanò intitolato
SAN LORENZO: DAL MONASTERO BASILIANO AL PARCO DELLE RIMEMBRANZE.
Stampato a cura dell'autore presso la Print Service Group Vibo Valentia il 2 febbraio del 2015.



Località San Lorenzo Arena di Vibo Valentia. Arrivo dei cannoni della prima guerra mondiale 1926:



Download dell'opuscolo San Lorenzo: Dal monastero Basiliano al parco delle rimembranze

Il monumento ai caduti di Dasà della I guerra mond
Il monumento ai caduti di Dasà della prima guerra mondiale

di domenico capano



Torino, 30 dicembre 2020

Ennio Morricone e l'alterità della musica


FRANCO DI GIORGI:
ENNIO MORRICONE E L'ALTERITÀ DELLA MUSICA

Compito della colonna sonora di un film, secondo Ennio Morricone, è di dar voce a ciò che nel film non c'è e non si vede.
Essa deve esprimere non il visibile ma l'invisibile, non il detto e il dicibile, ma il non detto e l'indicibile, non l'essere e nemmeno il non essere, ma l'altrimenti che essere, non la realtà e neppure il sogno, ma l'utopia, non il se stesso e tanto meno il si stesso, bensì l'altro, non la luce, non la penombra, ma l'ombra.
Solo incarnando un tale compito un prodotto della creatività umana diventa opera d'arte, opera cioè non dell'uomo, dell?artista, di colui che si trova ad essere artista, ma dell'arte stessa che è in lui.
Giacché è proprio in lui, con lui e in virtù del suo genio ereditato che ha inizio quel compito rivelatore di tutto ciò che, come altrimenti che essere, in quanto invisibile, indescrivibile, inesprimibile, irrappresentabile, permane e ha il suo regno nell'ombra.
Qualsiasi arte è vera quando si assume questo compito, il quale comporta sempre un lavoro straordinario, simile a quello in cui è impegnato nottetempo l'artigiano leopardiano del Sabato del villaggio, un'attività che si svolge nell'oscurità silente della coscienza, percorrendo sentieri ignoti alla ragione perché sfuggono alla sensibilità e restano inimmaginabili per la rappresentazione.
Cos'è d'altronde che rende speciale la fotografia, se non il fatto che come istantanea essa riesce a cogliere in un istante ciò che mai la realtà tangibile e visibile rivelerebbe ai nostri occhi?
Cos'è che rende così sorprendenti i romanzi di Flaubert se non quella misteriosa inclinazione a trascurare l'essere visibile e a costringere l'autore, divenuto un vero apologeta del non essere, a soffermarsi con le sue infinite iperdescrizioni proprio sull'impercettibile e sull'indicibile? E non era proprio a questa dedizione all'Auftrag, al difficile lavoro rivelativo, a questa tendenza a mantenersi nel difficile che Rilke esortava i giovani poeti?
Tutta quanta la Recherche proustiana non rappresenta proprio questo lungo e difficile travail, questo sforzo continuo teso a recuperare e a valorizzare i mille elementi di tenerezza che preesistevano già allo stato frammentario nell'anima dello scrittore e che la memoria volontaria ha eliminato dalla coscienza? E ancora lui, il poeta delle Elegie duinesi, non ha forse voluto fare del mondo interiore, del Weltinnerraum, il luogo utopico in cui conservare e salvare proprio l'essenza invisibile delle cose visibili?
A dare sostanza spirituale ai romanzi di Dostoevskij e di Tolstoj non sono forse proprio quei rari momenti di trascendenza che con la loro debole e subitanea luminosità riescono a gettare un po' di luce perfino nelle tenebre più fitte?
E cosa ci colpisce poi dell'Angelus di Millet, uno dei pochi pittori apprezzati dall'autore di Anna Karenina, se non quell'assenza celeste che aleggia sulla terra faticosamente coltivata e che assieme all'aria tiepida del meriggio estivo e all'immenso cielo sovrastante invita i due giovani contadini a sospendere il lavoro, a congiungere le mani e a piegare le loro fronti sudate, disponendoli così devotamente all?attesa, all'ascolto, all'accoglienza e soprattutto all'accettazione della loro appartenenza ad essa, cioè alla divina assenza?
Che cos'è poi di un'opera d'arte che strappa al nostro spirito il giudizio estetico del tutto spontaneo e disinteressato ? "Bello!" ? se non il fatto che essa riesce a cogliere e a rendere visibile quella bellezza aderente alla realtà che semplicemente sfugge alla sensazione? Oggi, che nemmeno l'occhio di un bambino è più capace di cogliere l'aspetto "altro" della realtà, solo l'arte, quella vera, quella che ha che fare con l'inappariscente, col non essere e con l'utopia, può svelarci la bellezza della realtà esteriore e interiore, offrendoci così la possibilità di valorizzare e insieme di salvare l'essere, tutto l'essere, e quindi anche se stessi.
Ciò che non è, dunque, i non essenti, i ta me onta, scriveva Paolo di Tarso nella Lettera ai Romani, potranno allora ancora una volta salvare gli onta, ciò che è, gli essenti? Forse.
Ma ancora: che cosa se non la musica, con la sua essenziale inconsistenza e con la sorprendente e inquietante immaterialità, con la sua intima fuggevolezza, svelandoci la sua bellezza proprio quando ci svela, cosa, dunque, se non essa, questa sempre benedetta arte dei suoni, riesce a ricondurci in quelle utopiche alterità, in quella vita vera, nella nostra vita, che l'esistenza reale e unidimensionale nega?
Con Rilke si potrebbe dire che essa ci traspone dall'altra parte del mondo, in una dimensione altra e alternativa, consentendoci di compiere un'esperienza di pieno appagamento, pur non avendola tuttavia mai richiesta e ancor meno meritata.
Si provi ad esempio ad ascoltare la Terza sinfonia di Mahler lasciando fluttuare l'attenzione in particolare sull'ultimo movimento, il Langsam, Ruhevoll, Empfunden: ebbene esso ci rivelerà il luogo della vita, il luogo della nostra vita, ossia, appunto, l'altrimenti che essere, l'altro che si trova dall'altra parte del mondo, in quella dimensione utopica che ci apparirà assai debole e rilassata rispetto alla confusa e fragorosa, volgare e affannosa unidimensionalità delineata nel primo movimento, forte e deciso (Kräftig entschieden).
Pur senza averlo richiesto e meritato, per un puro gesto d'amore, questa musica ci seduce e ci conduce fuori dalla nervosa realtà della rappresentazione dominata dal tempo, dallo spazio e dalla causalità, e ci invita a vivere intimamente (Empfunden), cioè profondamente, una vita piena di quiete (Ruhevoll), in cui le distanze spaziali, aprendosi all'infinito, si fanno sterminate e la lentezza temporale sembra desiderosa d'eterno.
Dopo essersi slegate dal groviglio affannoso delle marcette iniziali, con l'incessante estensione dello spazio e del tempo anche le note si allungano, si legano e si appoggiano l'una all'altra liberamente, in un legato unico, quasi in un'unica appoggiatura; ora esse generano nell'anima una lentezza e una larghezza inaudite che le consentono di distendersi a piacere, di rilassarsi e di avvertire un piacere mai provato prima. In questa imprevedibile distensione essa prende coscienza della differenza tra temporalità ed eternità, tra il qui e l'altrove, tra il finito e l'infinito, tra la realtà e l'utopia, insomma, per dirla con le parole del maestro Morricone, tra ciò che in un film si vede e appare, tra ciò che in esso viene raccontato, e ciò che in esso invece non si vede e non può apparire.
Questa estesa lunghezza di note legate in un tempo disteso e rilassato è tipica delle sue colonne sonore, delle sue composizioni: pensiamo, solo per fare qualche esempio, a opere cinematografiche come Mission (1986), La leggenda del pianista nell'oceano (1988), Nuovo cinema paradiso (1989), Baarìa (2009), La migliore offerta (2013), il primo del regista anglo-francese Roland Joffé, gli altri quattro sono di Giuseppe Tornatore; essa è la cifra che connota il suo stile musicale, una cifra che, oltre che nei Langsam mahleriani, si può cogliere altrettanto marcatamente anche negli Adagi di Rachmaninov, nei Preludi wagneriani, negli stessi Corali bachiani e persino nei canti gregoriani.
Come questi musicisti appena citati, infine, a cui certo non si può non aggiungere anche il suo preferito Mozart e Beethoven, le cui arie emergono dalle profondità dell'anima come perle preziose e perfette, anche Morricone, in virtù di una misteriosa alchimia, ignota persino a lui medesimo, sapeva donare alla lunga e quieta lentezza delle sue note anche la dolcezza del canto, ossia quella bellezza spirituale che, insieme alla Ruhe, alla quiete, commuove alla bontà e alla pace.
Questo saper donare è proprio del genio dell?arte, la quale si serve di alcuni uomini, di suoi spiriti eletti, spesso di quelli più problematici e fragili, per annunciare all'umanità l'utopia, una terra promessa.


Fonte: Franco Di Giorgi, Ennio Morricone e l'alterità della musica

Le novelle, racconti di Danilo Zannoni
Sono disponibili gratis le novelle e i racconti di Danilo Zannoni nel quaderno CIPEC Numero 65 intitolato: Scrivere è come vivere, solo che è più semplice.
Tante mi son piaciute e ne consiglio la lettura.
Propongo tra queste che ho gradito Julia e il Caimano. La farfalla Julia e il vecchio caimano Caio.

Scarica allegato:
202052202741_Julia-e-il-Caimano-di-Danilo-Zannoni.pdf


Download dei racconti


Copertina del quaderno 65