LA CONTRADDIZIONE NEL TRADIZIONALE DIRITTO ALLO SPRECO
Egregio Direttore, in questa lettera vorrei solo accennare a un mero problema di coscienza. A una questione che sorge da una semplice riflessione e che è anzi una pura riflessione, sebbene tuttavia non banale, perché, come un'aporia, è da anni che ci ricompare intatta dinanzi. Nella sua inconsistenza, essa non sembra poter reggere il confronto con la dura e complessa realtà. Si tratta infatti di una interrogazione che rende all'istante colui che la pone un'anima bella, un inguaribile ingenuo. La domanda, così come viene avvertita dalla coscienza, è la seguente: com’è possibile che, nonostante si sappia dello stato di assoluta indigenza in cui vivono milioni di persone, c'è chi, ad esempio, o per appartenenza a un sistema o in rispetto di antiche tradizioni territoriali (si pensi anche al famoso carnevale di Ivrea), spreca tonnellate di cibo ed ettolitri di acqua? Com'è possibile, cioè, che pur essendo a conoscenza delle condizioni di totale miseria in cui sono costrette a sopravvivere popolazioni intere (e in ogni caso i tre quarti degli abitanti della Terra), un numero sempre più ristretto di paesi (occidentali e non) continui imperterrito a sprecare vitamine e acqua? Ebbene, anche mentre ci sforziamo di esplicitare questo pensiero, di esprimere questa opinione siamo sicuri (ma non intimamente convinti) che si tratta di una partita già persa in partenza, perché certo più di mille saranno le ragioni che gli zelanti apologeti porteranno in difesa delle società tradizionalmente fondate sullo spreco. Si dirà, ad esempio, che in realtà esso non esiste e che non ...
Franco Di Giorgi
Lettera completa sul tradizionale diritto allo spreco
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