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L'autismo della politica - mercoledì 23 maggio 2007 at 18:56

La crisi della politica è tutta nella sua incapacità di rappresentare, nella difficoltà di ricomporre interessi generali. Moralizzare non vuol dire allora solo ridurre stipendi ed auto blu (che pure va fatto), ma avviare l'unica vera costituente di cui la politica ed i partiti hanno bisogno: quella con la società.
La crisi della politica è crisi di fiducia? E' crisi degli strumenti collettivi nati per organizzare la partecipazione? E' crisi delle istituzioni? Queste sono le domande a cui gli erranti provano, in questi giorni, a rispondere per comprendere l'errore.
Eppure qualcosa stona in questa discussione, iniziata (ma in realtà mai sopita) dall'intervento di chi per anni è stato l'emblema della politica politicienne, del lettore molto attento di Machiavelli e poco di Gobetti.
Purtroppo il tema però c'è: è lì sul tappeto della nostra stanca democrazia (in Italia più che altrove).
Il rischio di pulsioni autoritarie (dove la sfiducia verso questa politica più che generare nuova politica potrebbe assumere il volto del perdonismo) è alle porte.
Probabilmente è un rischio che nel nostro paese - privo di una borghesia forte, di intellettuali impegnati e critici, di un giornalismo indipendente - non è mai stato sopito, ma tutto al più addomesticato dalla dolcezza della spartizione di un benessere accumulato su debito, perbenismo e clientelismo. E dalla capacità - nel passato e ci si prova ancora oggi - delle grandi organizzazioni sociali di massa (movimento operaio in primis) per incanalare il disagio sociale in percorsi di ridefinizione dei confini, ove esercitare maggior potere rappresentativo.

Perché la questione è "tutta qui": nell'incapacità della politica di rappresentare. Nell'autismo di chi non è più immerso nel gorgo delle grandi trasformazioni che hanno generate nuove domande sociali, materiali ed immateriali, a cui ognuno - a questo punto (e diciamo già dai primi anni 90) - cerca di dare risposte per sé, per la propria piccola comunità (la famiglia, il paesello, la corporazione), in un corto circuito che si chiama "difficoltà di ricomporre interessi generali".

La crisi della politica è quindi prima di tutto crisi di rappresentanza. Chiama in causa non solo la lenta transizione dei partiti, ma la capacità di questi di rinnovarsi a partire dalla questione sociale. La crisi della prima repubblica non è finita perché quella crisi non è stata solo crisi morale, ma prima di tutto crisi delle ragioni sociali e geopolitiche che hanno permesso nel nostro paese di incanalare egoismi e tensioni in "regole del gioco condivise".
La crisi dello stato nazionale, le trasformazioni tecnologiche e produttive, la frammentazione del lavoro, la rottura dei tessuti urbani, sono tanti tasselli di un mosaico quanto e come la venuta meno delle ragioni "geopolitiche" (la guerra fredda) che garantivano l'inamovibilità di un quadro partitico ove, banalizzando, tutti avevano un ruolo perché avevano una "rappresentanza sociale" ben (e già) definita.
Altro che patto della crostata. Un patto tra un morente ed un neonato è un patto impossibile.

Forza Italia è stata la risposta politicamente più interessante a questo senso di insicurezza (così come il fenomeno leghista), nel tentativo di ricomporre intorno ad una specifica rappresentanza sociale (il mondo delle piccole imprese e dei lavoratori autonomi) o cultural-territoriale (la razza padana, il nord entità collettiva che rifiuta il diverso, ecc.), la "visione" di una società. Una risposta conservatrice, che fa leva più sull'antico che sul contemporaneo, ma che specularmente mette in luce le difficoltà di ridefinire chi si è, oggi, come sinistra.
Dimmi chi vuoi rappresentare, intorno agli interessi di chi vuoi avanzare una sintesi più generale e ti dirò chi sei.

Moralizzare la politica non vuol dire allora solo ridurre stipendi ed auto blu (che pure va fatto, secondo un'idea di politica al servizio degli altri e non l'opposto), ma avviare l'unica vera costituente di cui la politica ed i partiti hanno bisogno: quella con la società. Con i milioni di pensionati che vagano nelle nostre metropoli terrorizzati dalla solitudine. Con i milioni di lavoratori precari a cui abbiamo promesso maggior formazione per avere maggiore mobilità sociale e - una volta laureati - siamo in grado di offrire solo un lavoro da Mc Donalds.

Con le centinaia di migliaia di lavoratori intellettuali a cui non riusciamo ad offrire opportunità di crescita nelle imprese di servizi, nelle pubbliche amministrazioni, nelle scuole e nelle università.
Con le centinaia di migliaia di giovani che condividono la loro quotidianità in periferie abbandonate a loro stesse, incontrando nello stesso bar o nella stessa sala giochi altrettanti spaesati lavoratori immigrati, che rischiano tutti i giorni la vita in qualche cantiere edile irregolare.

La crisi della politica è crisi non di idee quindi, ma di persone con cui le idee vanno costruite e fatte poi camminare. Un lavoro lungo è quindi necessario: non la chiamata a raccolta in qualche gazebo, non la partecipazione a qualche forum per la sinistra.
Occorre un processo in cui la politica si spogli dei suoi orpelli, torni ad indagare il mondo ed il nuovo con gli occhi di chi lo vede per la prima volta. Ci vogliono però energie ed organizzazioni per fare ciò: questa la vera sfida della classe politica e - nella diversità dei ruoli - dei grandi soggetti sociali collettivi.
Alessandro Genovesi
Segretario Nazionale SLC-CGIL

Fonte: Aprile Online


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