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Il più grande funerale della storia - venerdì 8 aprile 2005 at 21:27

Roma . Per un laico la notizia più toccante, unica sfuggita alle telecamere, è la stretta di mano a piazza san Pietro del presidente israeliano Katsav al siriano Assad e all'iraniano Khatami. Per un credente è quel coro «San-to, san-to, san-to» unito ai perentori striscioni - «santo subito» - che riportano la Chiesa al Medioevo di un popolo che impone ai cardinali di piazzare sugli altari già adesso il pontefice defunto, e di adeguarsi nel prossimo conclave.

Per lo storico è questo immenso funerale planetario e televisivo (per paradosso qui, a Roma persino a tratti lieto, con i 12 applausi fuori cerimoniale all'omelia, i canti e i balli, le chitarre e i girotondi dei papaboys a Tor Vergata e al Circo Massimo, mentre a Cracovia il rito di un milione di fedeli era invece cupo e rattenuto): il più sconfinato omaggio mai visto a un morto, adesso conservato nelle Grotte Vaticane con un velo di seta candida sul viso dentro a una bara di austero cipresso, che abbiamo vista, segnata dalla «M» della Madonna, e sormontata da un Vangelo dalla copertina di marocchino rosso, sfogliato dal vento.

Nastri rossi. Ora, legata da nastri rossi, colore del lutto papale, la salma sta in fondo alle Grotte vaticane tra la sepoltura di Paolo VI, e quella di Benedetto XV, altro capo di Chiesa che maledisse la «inutile strage» delle guerre, e - novità - vicino anche a due donne, Cristina di Svezia, e Carlotta di Cipro. Il corpo di Giovanni Paolo II è, in verità, dentro a un triplice involucro, la prima bara è di zinco, la cassa di cipresso che era sul sagrato ora è stata racchiusa all'interno di un altro catafalco di noce, ci sono una croce e una targa di bronzo con il nome. La lastra di marmo bianco che copre tutto viene da Carrara.

La cronaca della giornata è racchiusa tra i rintocchi a martello di San Pietro alle dieci e poi alle dodici e mezzo, all'inizio e alla fine delle esequie. E ha la sua drammatica sintesi visiva nelle folate che agitano le pagine del libro sacro, e poi lo chiudono, e infine lo spostano quasi in bilico su un lato del feretro, gonfiano le tonache, le stole e le pianete rosse dei 140 cardinali concelebranti, i paramenti bianchi dei monsignori, le bandiere polacche - ancora bianco e rosso - , e asciugano il sudore dei «pellegrini» in fila con i panini, i telefonini e le foto, e delle suore che hanno visto l'alba in sacco a pelo.

Il vento. Il vento spande l'incenso dei celebranti insieme all'afrore della folla ammassata da un giorno e una notte d'attesa. Dall'alto si vede la macchia rossa dei prelati a sinistra, a destra quella degli abiti scuri delle autorità. La sicurezza impone corridoi e spazi vuoti. È un grande palcoscenico che parla al mondo.

La Protezione civile benedice la meteorologia, che ha risparmiato la pioggia al milione e passa di persone che hanno invaso una Roma mai vista così deserta, tranne l'epicentro di San Pietro e i luoghi di raccolta delle tendopoli e dei maxischermi, con il traffico vietato in certi tratti persino ai pedoni, e moltissimi in fuga per un week-end anticipato, in una giornata paziente, tollerante, e magicamente ordinata.

I potenti della terra - Bush giovane e vecchio, con assaggiatori personali al seguito e fischi davanti ai megaschermi, Blair con Carlo sabato sposo, Kofi Annan, tante «teste coronate», Ciampi e la signora Franca, Berlusconi intirizzito che s'asciuga gli occhi, il brasiliano Lula, Abdhallah di Giordania, il tedesco Schroeder, il presidente ucraino Yushenko, l'afgano Karzai, il francese Chirac, re Juan Carlos e Zapatero, e gli altri duecento - hanno radunato una piccola Onu, dove erano consentiti conciliaboli e saluti. Mancava la grande Cina, per via della presenza di Taiwan. I giovani che si riconoscono in questo papa si sono spellati le mani - c'è chi brandisce qualche bandiera iridata, con la scritta «pace» - e hanno invocato il papa-quasi-santo che cercò di costruire tanti «ponti» , oggi concretamente visibili anche nel «parterre» delle autorità, tra diverse realtà in mezzo al vento delle guerre.

La casa del Padre. Persino il freddo Joseph Ratzinger, che nella sua qualità di decano del Collegio cardinalizio, presiedeva il rito, trova un tono cordiale: Giovanni Paolo II «sta adesso alla finestra della casa del Padre, ci vede e ci benedice». E la folla alza lo sguardo verso la finestra del terzo piano del palazzo apostolico, la seconda da destra, da dove si affacciava Karol Wojtyla. Quelle persiane sono da venerdì per la prima volta dopo ventisei anni serrate, e rimarranno chiuse fino all'esito del nuovo conclave. «Per tutti noi - ha detto colui che in questo momento riveste il ruolo della più alta autorità cattolica - rimane indimenticabile come in quest'ultima domenica di Pasqua della sua vita, il Santo Padre, segnato dalla sofferenza, si è affacciato ancora una volta alla finestra del Palazzo Apostolico ed un'ultima volta ha dato la benedizione Urbi et orbi. Possiamo essere sicuri che il nostro amato Papa sta adesso alla finestra della casa del Padre».
Sono suoni antichi. La Messa è in latino, la parte affidata agli officianti orientali è in greco.

Seguono le preghiere multilingue: inizia una ragazza spagnola, una francese, poi lo zwali... Sul terrazzo del colonnato del Bernini dove si radunano gruppi di giornalisti e fotografi il vento raddoppia le sferzate; gli zoom stanno inquadrando monsignor Stanislao Dziwisz, per tutti Stanislao o «il segretario del Papa». Confuso tra gli altri prelati sta accompagnando per l'ultima volta Wojtyla; e per lui oggi finisce una lunga stagione in cui è stato rispettato, ma anche invidiato, per la vicinanza fisica e assidua con il pontefice. Scoppia, forse ancora per il vento un vetro a piombo di una finestra del palazzo apostolico, dove anche Stanislao finora ha vissuto.

Poi la corrente d'aria s'addolcisce, i dodici solenni «sediari» prendono sulle spalle la bara, scocca un'ultima ovazione lunga dieci minuti, e adesso solo una brezza leggera accompagna il feretro dentro la basilica, per la cerimonia a porte chiuse della tumulazione.

Calca e auto blu. Come l'afflusso è stato tumultuoso, per la pressione della folla già all'alba davanti alle transenne, i cori di «aprite-aprite», qualche carabiniere travolto nella calca in via della Conciliazione, il deflusso è invece incredibilmente lentissimo e ordinato. Per Corso Vittorio si incolonnano le auto blu del cerimoniale degli ospiti stranieri. Nelle altre strade tornano a formarsi fiumi di folla che raggiunge a piedi i punti di concentramento. Gli scout sciamano fino a tarda ora per le strade. Ma ancora per oggi è prevista l'ultima tranche delle partenze per almeno 150mila, solo per quel che riguarda le prenotazioni dei treni. Dopo due ore hanno chiuso la «diretta» i canali arabi per la prima volta in collegamento, gli israeliani, le reti europee e americane.

Cacciabombardieri. Tv, radio agenzie e giornali stranieri elogiano l'eccezionale prova di Roma. Ciampi si dice soddisfattissimo, Veltroni dà voce all'orgoglio della città che «ha vinto la sua sfida più grande». In tutta Italia maxischermi e raduni hanno moltiplicato l'evento. Nel mondo c'è stata unaparteciapzione mai vista.

Un solo atto sacrilego, lontano da qui: l'incendio in una chiesa di Agrigento, proprio la stessa città da dove Wojtyla condannò i mafiosi. Un solo brivido, risparmiato però alla folla con gli F16 che si levano in volo durante il funerale per intercettare un aereo, fatto atterrare a Pratica di Mare per un falso allarme-bomba, segnalato da autorevoli, ma fallaci fonti di «intelligence». Verso le sei di sera inizia a piovere.

È stato il più grande funerale della storia. Dal momento dell'aggravarsi della malattia hanno salutato il papa a Roma, secondo fonti vaticane, in tre milioni. Dal 18 aprile in Cappella Sistina, 116 «principi della Chiesa» cattolica dovranno tenerne conto cominciando a discutere la successione.

di Vincenzo Vasile
08.04.2005


Fonte: L'Unità online


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