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Sogno i boschi del Nord un paradiso perduto - sabato 26 giugno 2004 at 12:34

Sogno i boschi del Nord
un paradiso perduto
incontro con Ippolito Pizzetti
Enrico Regazzoni

COMINCIA con Ippolito Pizzetti, inventore di paesaggi, una serie di incontri dedicati al "Paesaggio d'autore". Personaggi della cultura, dell'arte, dello spettacolo, dell'economia sono invitati a raccontare il luogo più congeniale. Il tema è libero: «paesaggio» può includere una cornice famigliare, uno sfondo naturale legato alle proprie radici, alla professione, alla consuetudine o al sogno, ma anche uno scenario interiore e metaforico, il mondo delle parole per uno scrittore, quello delle immagini per un pittore, quello dei suoni per un musicista. Come dire: un luogo della mente dove avvengono le passeggiate più segrete.

Roma «Il mio paesaggio? È come dire il mio lavoro, poiché il paesaggio è il luogo in cui opero, l'argomento che insegno e del quale parlo senza sosta». Nel salotto della sua casa romana dietro Ponte Milvio, Ippolito Pizzetti reagisce alle domande sul suo paesaggio con una professionalità venata di malinconia. Bisogna capirlo: a questo tema ha dedicato la vita intera, ed è già notevole che a settantacinque anni, rannicchiato sul divano, i piedi nudi e un toscano fra le labbra, riesca a sembrare esattamente il bambino che fu, quando l'interesse per la natura lo incantò fermandone i modi, gli sguardi, il gesto.
Col tempo, la competenza diventò enorme: anni di rubriche giornalistiche (su L'Espresso e il Corriere della Sera, per citare i maggiori), libri pubblicati (da Pollice verde a Robinson in città, fino all'ultima Garzantina dei fiori e del giardino), corsi universitari (ora insegna progettazione paesaggistica alla facoltà di architettura di Ferrara), e sempre oltrepassando il perimetro dell'informazione specifica per far emergere il profilo dell'orizzonte terrestre nella letteratura, nell'arte, nella storia del pensiero. Più che nelle grandi distese, insomma, Pizzetti ha inseguito il verde nella sua estesa cultura, quasi per trasversale nostalgia. Ed ora eccolo qua, amichevole elfo, che confessa il suo rimpianto di boschi mai visti.
«Sono nato a Milano, e penso al paesaggio del Nord. Penso alla quercia e all'ornello, che sono le piante del Nord, come quelle del Sud sono l'ulivo, la sughera e il carrubo. Quindi ho in mente l'interno del bosco, il bosco originario. Quel bosco è scomparso, e ne avverto la mancanza. Anche perché, come tutti coloro che sono nati al Nord, ho sentito l'attrazione del Sud e mi ci sono trasferito. E' un percorso classico, basta pensare al rapporto di Goethe con l'Italia o a quello di Gide con la Sicilia... Il Sud, per un nordico, è il paesaggio ideale. Ma la radice resta, ed è quella dei luoghi che ti hanno generato. Così torno con la mente al mio bosco, non assediato dai rovi, con grandi piante protagoniste e spazi nei quali camminare».
Di quel bosco perduto, spiega Pizzetti, sopravvivono ormai sparsi frammenti. Querce e faggi isolati, e mai in un giardino pubblico o in un parco. «È assurdo, ma in Italia i giardini non hanno alcun rapporto con le piante del luogo. I parchi pubblici, in Emilia, sono pieni di conifere. Le ha volute la moda, il gusto dell'altro, il rifiuto di piante che sentissero le stagioni. Non credo che sia possibile ricostruire le foreste in cui cacciavano gli Estensi, ma almeno nei giardini pubblici si potrebbero recuperare gli elementi grammaticali della natura circostante. Invece da una parte abbiamo il purismo ambientalista degli architetti che si sono improvvisati paesaggisti e vogliono solo piante autoctone, ciò che è impossibile perché in tutti i tempi il giardino è nato da un'operazione, da un artificio; dall'altra ci sono i boschi creati dalla forestale, buoni solo a produrre legno da carta e a ospitare un certo tipo di flora e di fauna. Sono perfino arrivato a scrivere: "Forestali di tutto il mondo, unitevi!", dopo che ho visto come distruggevano il paesaggio delle coste piantando forsennatamente eucalipti. Così oggi ci imbattiamo in pinete invivibili, che non sono state curate e dunque non hanno alcun rapporto fra vuoti e pieni: che è il nostro vero problema di architettura». Come sono rintracciabili, nel paesaggio esistente, le rovine del bosco vecchio? Incontri casuali, dice Pizzetti. E accenna a una macchia di sughere sull'autostrada Roma-Napoli, o a certe radure di lecci lungo il raccordo anulare della capitale. Anche per quel che riguarda i giardini ben fatti, dice, gli esempi sono pochi, primo fra tutti quello di Vienna, per lo splendido rapporto fra piante e prati, che consente il completo godimento del verde nel doppio registro di ombra e di sole. Vienna non è citata a caso, poiché anche in tema di paesaggio, sostiene Pizzetti, discernimento e iniziativa sono maggiori all'estero che qui, visto che, a suo avviso, l'operazione paesaggistica più importante eseguita di recente in Italia è stata quella di restituire la romana Piazza del Popolo al suo spazio naturale, liberandola da auto e posteggi.
«Ma vorrei parlare dell'intervento artistico!», si accende. «Fauni e ninfe nessuno li ha mai visti, ma sono elementi di fantasia che abitano il giardino. Evocarli, dar loro vita è a mio avviso compito degli artisti. A Celle, fra Firenze e Pistoia, c'è un giardino di base ottocentesca dove un grosso industriale invita gli artisti più importanti del mondo a fare l'intervento che vogliono nel luogo che vogliono. Analoga attività svolge la fondazione Spoerri. Il giardino offerto agli incantesimi, all'opposto di quello consegnato a degli incompetenti che sono tutt'al più capaci di metterci un campo di calcetto. Il parco pubblico dev'essere un teatro, com'era già Versailles nel Rinascimento, un verde palcoscenico di cacce, mostre e balli dove le persone erano allo stesso tempo attori e spettatori. Oggi ci puoi anche andare, ma è come visitare la Scala quando non c'è l'opera. E in ogni caso, quando vai in un parco, è per impiegare correttamente il tuo tempo libero, vero nemico dell'ozio».
La contrapposizione fra tempo libero e ozio è uno dei luoghi mentali che Pizzetti visita con maggiore dimestichezza. Dopo aver nascostamente citato Brecht nel dar voce al rimpianto («Io, Bertolt Brecht, vengo dai boschi neri»), ora chiama apertamente in aiuto Stevenson che, seduto in riva a un ruscello, difende il suo diritto a un ozio che ignori la misura del tempo. «Il tempo libero è un tempo prefissato, con un inizio e una fine, mentre l'ozio è tale proprio perché non inizia e non finisce. Come il bosco, anche l'ozio è scomparso, sostituito da un tempo libero che è la sua traduzione in fatto produttivo. E' tempo che serve a recuperare energie, mentre l'ozio non serve a nulla e domina se stesso. E la natura è il suo luogo, come già intuiva Goethe, oziando nei parchi: perché affida la sua identità senza tempo al verde senza tempo, al ruscello di Stevenson, che va».
Fantastico il paesaggio di Ippolito Pizzetti. Un regno equilibrato dove natura e artificio sembrano se stessi senza imitarsi a vicenda. Uno spazio verde nel quale l'artista ritrova la sua funzione più vera, quella di restituire ai mortali il sogno di un ozio smarrito, il sospetto di fauni e ninfe, l'astrazione universale che un filo d'erba può suggerirti. «Lo so, può sembrare ambizioso», insiste. «Ma il rapporto con la natura ha bisogno di questo. Già Giotto, nella Cappella degli Scrovegni, a Padova, inseriva elementi plastici nel paesaggio, certe rocce disegnate, animaletti che sono evidenti finzioni, piante che sembrano decalcomanie. E lo skyline dei ritratti di Piero della Francesca, anche quella è land art! Lo stesso in letteratura: basta pensare a Stifter, o al giardino goethiano delle Affinità elettive. Nell'età moderna emerge la centralità dell'elemento naturale, grazie a pensatori come Kant ed Hegel, e invece oggi si sente parlare di globalizzazione, termine che in sé già contiene veleno, azzera le differenze nascoste nel verde e annuncia almeno una perdita, poiché il rapporto con la natura è solo individuale».
Se potesse partire alla ricerca del suo paesaggio, oggi Pizzetti tenterebbe lo stesso percorso che lo ha condotto a pensare e a maneggiare le foglie per così tanti anni. «Da bambino parlavo più tedesco che italiano, quindi risalirei verso il centro Europa, dove il bosco era vita. Ma poi, ancora una volta, migrerei al Sud, verso quella luce che per noi vecchi è il segno della continuità. Me ne andrei in Corsica, o inseguirei le lavande della Provenza. E poi ancora più a Sud, verso i luoghi di Stevenson, che con Calvino è per me quasi tutto. Lo inseguirei nelle sue isole lontane, alla ricerca di un paradiso che finalmente mi plachi».

26 giugno 2004


Parco Agrario degli Ulivi

Pagine web con foto degli Ulivi secolari di Bracciara


Alcune foto degli ulivi secolari di Bracciara Dasà VV

Ulivo secolare di Bracciara

piante

“La chioccia”

ulivo secolare 100

Altra foto chiocchia o "Jhocca"

Foto Ulivi 210

Foto Ulivi 234




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