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Ognuno ha in sé un consumatore - martedì 11 novembre 2003 at 00:56

Addio vecchie indagini di mercato: la risposta ai veri desideri dei clienti è nascosta nel cervello. Scienziati e aziende la cercano
Ognuno ha in sé un consumatore. Il neuromarketing lo va a scovare.
Con la risonanza magnetica si fotografano le reazioni profonde agli stimoli della pubblicità. E, volendo, si orientano

Avete comprato l'ennesimo paio di scarpe costosissime. Non avete nemmeno infilato l'uscita del negozio che diversi pensieri e umori vi assillano: la colpa, perché in effetti proprio non ne avevate bisogno e la spesa è stata davvero onerosa. Eppure anche un sottile e inconfessabile piacere della follia che v'ha preso. Smettetela, voi non c'entrate nulla con quello che è successo. O meglio, non c'entra il vostro io "conscio". Date la colpa (e dunque godete della vostra sana innocenza) alla vostra corteccia prefrontale mediana.

E' lì, in quella zona recondita del cervello, che si è consumato tutto. Anzi, dove risiede e fa quel che vuole il consumatore segreto che è in voi. Non ce ne accorgiamo noi che funziona così, come d'altra parte non ci accorgiamo di tante emozioni (o reazioni chimiche che dir si voglia) che si annidano al di là della nostra coscienza. Ma la scienza lo sa, lo sa sempre di più, e quello che scopre lo confida, a volte lo vende, agli esperti di marketing. Ecco cos'è in breve e con inevitabile approssimazione il neuromarketing, disciplina scientifica che da qualche tempo, e con più vigore di recente, sta sostituendo nelle tecniche delle grandi aziende i vecchi sondaggi e focus group per individuare il prodotto e la campagna pubblicitaria che vende di più.

Le interviste a gruppi di potenziali consumatori non sono infatti sufficientemente attendibili: le persone rispondono a quello che credono di volere e desiderare, mentre l'"intimo" e recondito consumatore che è nelle profondità del loro subconscio reagisce e pulsa in modo del tutto diverso. Per capirlo e catturarlo, bisogna vederlo.

Fotografarlo per la precisione, con una bella risonanza magnetica, cosa che da tempo si fa nell'epicentro del neuromarketing mondiale, il BrightHouse Institute for Thought Science di Atlanta, nato nel 2001 da uno scorporo della BrightHouse, rinomatissima agenzia di consulenza e marketing attiva dal '95.

L'istituto è oggi l'"ala" delle neuroscienze della prestigiosa Emory University: il suo ideatore, Joey Reiman, guru della comunicazione, docente di psichiatria ed economia all'Emory, nonché autore di vari bestseller che teorizzano la convergenza tra scienza e business. Tramite la risonanza magnetica, gruppi di consumatori ben pagati vengono sottoposti a una fotografia tridimensionale del cervello e alla localizzazione delle attività, compresa quella del consumatore recondito, il cui campo d'azione sarebbe appunto nella corteccia prefrontale mediana, zona in cui il cliente che è in noi può essere influenzato dall'esterno. E' qui che il nostro cervello dice la "verità" su quel che sente e reagisce (ma può anche essere indotto a farlo tramite stimoli specifici) di fronte a un prodotto e ancor più al suo logo.

Specificazione importante, perché da analoghi studi, ma diciamo meno "compromessi" col mercato, vengono fuori risultati interessanti in questo senso. Per esempio in quelli superaccademici del neuroscienziato Read Montague del Baylor College of Medicine di Houston che si è chiesto come mai la Coca Cola venda di più della Pepsi. Ebbene: sottoponendo diversi pazienti a una risonanza magnetica è risultato che, se la Pepsi era a livello di gusto preferita dalla maggioranza, una volta svelati i "marchi" delle due bibite, l'attività cerebrale prevaleva portando quasi tutti a dichiarare di preferire la Coca Cola. Morale? E' possibile influenzare le percezioni inconsce dei consumatori, spingendoli a preferire un prodotto piuttosto che un altro.

Tesi, sufficientemente supportata da scientificità, che certo non è delle più tranquillizzanti. Oltre al non marginale corollario dell'intrusività del neuromarketing ben oltre la privacy, nel più privato del nostro io. Fatto sta che se alcune ricerche puramente accademiche aiutano a indagare in quell'ancora misteriosissima sfera che è il nostro cervello, svelando o introducendo domande che soddisfano anche curiosità intellettuali, altre ci avvertono che, ben oltre le nostre conoscenze o persino fantasie, il mercato e la pubblicità si introducono sempre più sottilmente (e subdolamente) nelle nostre scelte.

Alcuni segnali: molti ricercatori, per esempio al "Mind of the Market Laboratory" dell'Harvard Business School (e dunque in un altro centro pulsante della ricerca internazionale) lavorano grazie ai fondi di note aziende. E a loro consegnano i risultati delle loro analisi. Da quest'estate la BrightHouse, che già lavorava con gran riserbo con grandi aziende (si parla di Delta Airlines e K-Mart, ma senza conferme; così come Coca Cola e General Motors si danno per sponsor di vari studi) ha sicuramente iniziato a lavorare con una delle 500 aziende top secondo Fortune: nome segretissimo anche in questo caso.

Che l'interesse verso il neuromarketing sia forte da parti delle corporations, è quasi superfluo sottolinearlo: a parte l'incisività delle tecniche persuasive cui si può giungere, il risparmio economico è forte: per esempio alla BrightHouse una consulenza costa 500mila dollari. Bazzecole di fronte al circa 1 miliardo di dollari spesi lo scorso anno dalle grandi aziende in focus group e nei conseguenti 120 miliardi di dollari per le campagne pubblicitarie.

Ma se si vuole risparmiare ancora di più, oltre che figurare come Grandi Fratelli meno intrusivi, ci si può sempre rivolgere alla Olson Zaltman Associates, società di consulenza figlia di Jerry Zaltman, docente di marketing ad Harvard, che dalla fine dei '90 mette insieme neuroscienze, semiotica, Jung e business per tracciare un nesso tra cervello e pubblicità. Il risultato? La Zmet (Zaltman Metaphor Elicitation Technique), un metodo "metaforico" che fa affiorare emozioni e pensieri sotto stimoli visuali e fa dunque capire l'orientamento nei consumi. Una consulenza, 100 mila dollari. Più di 200 le aziende in fila davanti alla sua porta. E non è una metafora.
ALESSANDRA RETICO
(10 novembre 2003)


Fonte: La Repubblica online



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