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Intervista ad Antonio Ghirelli - martedì 23 settembre 2003 at 10:50
«Nel Paese manca la capacità di governo»
Intervista ad Antonio Ghirelli

Potrebbe sembrare superfluo presentare Antonio Ghirelli, uno che può vantare un curriculum ricco come pochi, eppure alcune caratteristiche del "nostro" meritano di essere sottolineate. Profondo e raffinato conoscitore della politica, della società e grande amante dello sport, Ghirelli ha sempre manifestato apertamente il proprio pensiero, anche quando si è trattato di andare contro corrente. A ottanta anni non ha perso né lucidità, né quella parlata vispa accompagnata alla battuta facile che ne hanno fatto un personaggio molto apprezzato. Giornalista e scrittore, è stato partigiano combattente durante la guerra di liberazione, militante nel Pci fino al 1956, per aderire poi al Partito Socialista. E' stato direttore di quotidiani e settimanali anche sportivi, e del Tg2; capo ufficio stampa della Presidenza della Repubblica con Sandro Pertini e portavoce del governo Craxi. Attualmente i suoi editoriali e le sue rubriche su diversi quotidiani lasciano tracce profonde nell'animo dei lettori. Ghirelli è anche scrittore di successo e, tra gli altri, ha pubblicato "Storia del calcio in Italia", "Storia di Napoli", "Caro Presidente" dedicato a Sandro Pertini, "Effetto Craxi", "Napoli operaia", "Donna Matilde". Partendo dai tristi fatti di Avellino, con Ghirelli abbiamo fatto alcune considerazioni sullo stato di salute del nostro calcio.

Ghirelli, che cosa insegna la violenza del Partenio?

Che non c'è una capacità di governo negli stadi come non c'è nel Paese. Questi fatti mettono a nudo le responsabilità della Federcalcio, della Lega calcio e anche di Pisanu, che continuo a ritenere il miglior ministro del governo Berlusconi.


Le immagini di Avellino hanno fatto il giro del mondo e oggi parlare di calcio significa soprattutto parlare di violenza. Perché il pallone diventa contenitore di tanta follia?

Siamo di fronte ad un grave problema sociale e culturale. Dietro i fatti di Avellino, come di altri stadi, c'è un'inquietudine, un malcontento. C'è un preoccupante isolamento dei giovani che è indipendente dalla condizione economica delle loro famiglie. Mancano i riferimenti culturali e questo è un caro prezzo che la società pagherà a lungo. Giusto parlare degli incidenti di sabato, ma qualcuno si ricordi anche dei disoccupati napoletani e della crisi del mezzogiorno.


Per contrastare la violenza negli stadi esiste già una dura legge, ma pare che il governo voglia adottare misure ancora più repressive. Può essere questa la strada giusta alla luce di quanto accaduto sabato sera?

La repressione è il primo rimedio che viene alla mente, è la strada obbligata di chi non sa scegliere diversamente. Ovvio che non basti. Serve un'impostazione di maggior respiro. Oggi c'è gente che per recarsi allo stadio parte dalle città in tenuta da guerriero, il legame con l'estrema destra fascista in molti casi è provato. Il calcio per tanti è diventato scuola di violenza e sfogo di noia.


C'è da dire che un'estate così tormentata sicuramente ci ha messo del suo ad esasperare gli stati d'animo. Non pensa che qualche responsabilità sia anche del Palazzo e di chi, attraverso l'informazione, eccita oltre misura gli animi?

Certo, l'ho detto all'inizio. Quando si premia la Fiorentina perché ha un grande bacino di utenza tv, si fa un torto allo sport e uno sgarbo alle altre squadre e agli altri tifosi. Così si esasperano gli stati d'animo. Le incapacità dei dirigenti e dei politici alimentano assurdi stati di tensione.


Lei ha parlato di giovani senza punti di riferimento.

Mica vorremmo mettere in discussione il fatto che molti giovani siano lasciati a se stessi? Mi duole dirlo, ma oggi, mentre i cattolici sono abbastanza radicati nella società, i rossi non lo sono più. Non siamo stati capaci di partorire nuove idee, di intercettare i nuovi movimenti legati ai problemi della società.


Eppure, oggi la sinistra è un fermento di movimenti e idee.

Sì, è vero, ma anche i movimenti hanno bisogno di una direzione strategica che oggi manca. Troppe divisioni a sinistra. Ricordo che dentro il Labour Party, tra le due guerre, c'erano anche i trozkisti.


Come la mettiamo con il calcio in profonda crisi economica?

Oggi, al di là delle apparenze, il calcio si regge su un'economia da soubrette. E i risultati si vedono, lo spettacolo è fallimentare. Se non si rispettano certe regole, il crack è dietro l'angolo.


Come se ne esce?

Innanzitutto con uno stop. Quindici giorni senza calcio non farebbero male a nessuno. Si tratterebbe di un evento carico di significato. Poi dovremmo pensare a riorganizzare il baraccone, cominciando con un commissariamento di Figc e Lega calcio. Vorrei chiarire che siamo di fronte ad una grave crisi politica, non ad un fatto penale.

Fabio Rosati
sport@liberazione. it
(23 settembre 2003)


Fonte: Liberazione online

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