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Mario Fortunato Calabrese di Londra - martedì 16 settembre 2003 at 17:09
A Sorianello premiato Mario Fortunato
Calabrese di Londra

SORIANELLO (VV) - Se sabato sera a Sorianello, alla consegna del premio "Raccontare la Calabria", qualcuno fosse entrato nella bella sala del "Magazzino dell'olio" con un po' di ritardo, difficilmente avrebbe potuto non stupirsi. Mario Fortunato, scrittore e giornalista, nonchè direttore dell'Istituto italiano di cultura a Londra, nel ringraziare per il premio ricevuto, intratteneva gli uditori con un'interessante disquisizione su come siano oggi abitati i diversi quartieri di Londra. Aveva precedentemente parlato di Roma, di una serie di luoghi che considerava decisivi nella sua formazione non solo di scrittore, e, cosa che potrebbe sembrare paradossale, ribadiva che nei suoi romanzi la Calabria non viene mai nominata. Con il suo tono di voce calmo ed evocativo, Fortunato semplificava con efficacia il più generale discorso di quella "commedia degli inganni" che è oggi il concetto di identità: le barriere, i limiti, i sottili "distinguo", che sempre di più assumono valore cogente nella discussione politica (sempre finalizzata all'allocazione delle risorse), non valgono quasi mai dentro di noi. I confini che l'uomo può tracciare per indicare una regione fisica non corrispondono mai alla nostra geografia interiore. Le culture si intrecciano, si fondono, si meticciano, sia nello spazio sia dentro di noi, e Mario Fortunato aveva agio di affermare che distinguere l'essere cirotano, l'essere romano, o italiano, o londinese di Chelsea, ha un senso solo perchè è questa una strada per camminare la memoria, ma contemporaneamente ribadiva che questi aspetti sono assolutamente indistinguibili in quello che è oggi il suo modo di pensare a se stesso e di approcciare alle cose.
Non capita spesso, nelle innumerevoli celebrazioni estive della calabresità, di ascoltare parole così pacate e decisive. Come è noto, è più facile che in questi convegni si arringhino le folle con la difesa della neo-grecità-altro-che-celti-padani, o con altri artifici, che si trasformi in bene ciò che della nostra tradizione costituisce lato negativo (del tipo: siamo certi che il familismo è amorale?). E lo stesso Mario Fortunato forse si stupiva, mentre parlava, di poter condurre una simile discussione.
Le premesse perchè la premiazione non fosse soltanto un atto rituale erano state poste dagli interventi precedenti. Davide Scotta, coniugando conoscenze di letteratura e di antropologia culturale, era entrato direttamente nel merito del problema, rilevando come la Calabria fosse al contempo presente e sfuggente nell'opera di Fortunato: notava come al premio "Raccontare la Calabria", paradossalmente, venisse premiato uno scrittore che la Calabria non la racconta, o meglio, non la racconta direttamente. Ma forse, diceva Scotta, proprio la coessenza dei sentimenti amore-odio per la terra, la coessenza del sentimento di fuggire e del sentimento di tornare, inscrivono Fortunato nei grandi raccontatori della Calabria. Toccava quindi a Vito Teti il compito di problematizzare la discussione e indicare le linee del quadro teorico nel quale vanno ricercate le motivazioni dell'assegnazione del premio. L'antropologo, come aveva fatto anche sulle pagine di questo giornale, spiegava come, di questi tempi, rispetto alla troppo polisemica parola identità, il termine "appartenenza" presenti evidenti vantaggi. I personaggi dei romanzi di Mario Fortunato parlano sempre delle modalità della loro appartenenza ai diversi contesti, e il lettore comprende bene che appartenere ad un luogo non vuol dire solo abitarlo fisicamente, ma vuol dire pure abitarne l'idea, vuol dire utilizzare altri materiali per ricrearlo altrove, vuol dire volerne sentire parlare, vuol dire parlarlo. Non trova luogo mai, nell'opera di Fortunato, l'orgoglio bieco e contrappositivo di una improbabile appartenenza etnica, eppure la Calabria c'è, e spesso, a saperla cercare, c'è fortemente. Ma si tratta della Calabria che fa parte di una patria culturale, i cui abitanti hanno radici che affondano in ogni terra nella quale hanno appreso una cosa importante. Una terra che diventa imprescindibile per andare nel mondo, ma che non vincola e che anzi chiede libertà. Un'idea di patria che deve essere ingrandita continuamente dalle esperienze di un altrove sempre più nuovo e sempre più ricco.
L'antropologo Ernesto De Martino, in una introduzione ad una raccolta di poesie di Albino Pierro, scriveva: "Alla base della vita culturale del nostro tempo sta l'esigenza di ricordare una patria e di mediare, attraverso la concretezza di questa esperienza, il proprio rapporto col mondo. Coloro che non hanno radici, e sono cosmopoliti, si avviano alla morte e alla passione dell'umano: per non essere provinciali occorre possedere un villaggio vivente nella memoria, a cui l'immagine e il cuore tornano sempre di nuovo, e che l'opera di scienza o di poesia riplasma in voce universale". Di queste dinamiche dell'appartenere parla Mario Fortunato. Di questa e di altre Calabrie e di altri angoli di mondo scrive nelle sue opere, e certamente merita il premio, perché racconta la Calabria che abbiamo sotto gli occhi e tutte le altre Calabrie invisibili, quelle buone da pensare.

(16 settembre 2003)


Fonte: Il Quotidiano della Calabria online

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