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Le alchimie dell'Istat sulla povertà - giovedì 24 luglio 2003 at 09:51
Non è vero che in Italia il numero dei bisognosi è sceso dell'1%: basta leggere i dati
Le alchimie dell'Istat sulla povertà

Nel 2003, la povertà relativa è diminuita dell'1% afferma l'ultima indagine Istat. Certo, ci sono oltre 7 milioni di poveri (e 3 milioni circa sono sotto il livello di povertà assoluta), ma, si dice, c'è una inversione di tendenza. Secondo la "vulgata" dei principali organi di informazione: "In Italia diminuiscono i poveri". Ma è proprio così? Anche in questo caso, basta leggere i dati e si vede che siamo di fronte a una forzatura. Cos'è, infatti, la povertà relativa? Come afferma l'Istat medesima, si tratta di una soglia convenzionale "determinata annualmente rispetto alla spesa media mensile pro capite per consumi delle famiglie". Questa soglia per il 2002 è stata fissata in 823,45 euro. Il punto è che questa soglia, al netto della variazione dei prezzi al consumo (quella calcolata dall'Istat del 2,5%), è inferiore a quella dell'anno scorso.
Per spiegare meglio. E' come se, in una gara di atletica, si mettesse l'asticella del salto in alto a 2 metri e si verificasse quanti atleti superano quella soglia. Poi, nella gara successiva, l'asticella fosse abbassata di 10 centimetri e, agli stesi atleti si dicesse di affrontare la nuova misura. Al termine, si concludesse che è aumentato il numero di atleti che supera la misura standard. Così è per la povertà relativa: diminuisce perché si abbassa il livello medio dei consumi. In pratica, cala la povertà relativa perché siamo tutti più poveri. I vertici dell'Istat sembrano, quindi, proprio dei novelli alchimisti che hanno scoperto la pietra filosofale che tramuta in oro per il governo tutti i dati che incontra. E' stato così per l'inflazione, il cui calo dello 0,1% è stato contestato da Rifondazione, così è per i dati sulla povertà. Un gioco di numeri, fatto apposta per creare l'illusione di un miglioramento che nasconde la realtà di una condizione sociale ogni giorno più drammatica.

In questo quadro, viene presentato il Documento di Programmazione Economica e Finanziaria per il 2004-2007, un documento fumoso, reticente, una valanga di numeri ripetuti più volte per dare l'impressione di una corposità inesistente e che rimanda le scelte reali alla finanziaria. Eppure, anche da qui, esce il quadro di una manovra economica che colpirà ancora pesantemente i redditi popolari.

Una quadro che va, quindi, approfondito, da molti versanti, quello della redistribuzione del reddito, del complesso delle politiche di welfare (sanità e pensioni, in particolare), dei nuovi tagli che sia annunciano agli enti locali, agli interventi sul mercato del lavoro, a quelli devastanti sull'ambiente. Proviamo un primo approccio dal punto di vista delle politiche redistributive.


L'impoverimento
di massa
I dati del Dpef, quelli macroeconomici del Pil e del tasso di inflazione programmata, sono completamente smentiti a consuntivo e del tutto non credibili come previsione. Viene perpetrato, quindi, l'imbroglio dell'inflazione programmata (indicata in un improbabile 1,7% per il 2004), una finzione giuridica fatta apposta per determinare un incremento di salari e pensioni inferiore all'aumento del costo della vita. Come è stato drammaticamente e in maniera incontrovertibile dimostrato da tutte le rilevazioni, il livello dei prezzi nel nostro Paese è, in molti casi, superiore a quello della media europea mentre le retribuzioni sono tra le più basse. Siamo di fronte a un impoverimento progressivo e drammatico che non solo mette in discussione i livelli di vita di milioni di persone ma contribuisce in maniera determinante a deprimere la domanda interna e, quindi, a rallentare l'economia nel suo complesso. Lo stesso Dpef, anche se in modo circonvoluto è costretto ad ammetterlo: "I redditi da lavoro dipendente pro capite hanno mostrato, in Italia, fra gli incrementi più contenuti sia in termini assoluti, sia rispetto all'evoluzione dell'indice dei prezzi armonizzato e della produttività del lavoro".

Eppure, niente che indichi una strada diversa. Anzi, si legge testualmente nel Dpef: "D'altra parte gran parte della ricchezza delle famiglie è concentrata nel mercato immobiliare e un sostegno ai consumi potrebbe derivare dalla possibilità di convertire in reddito parte di tale ricchezza". E' la proposizione, in termini sfumati, della famigerata proposta di investire in ipoteche la proprietà della casa (in Italia, circa l'80% delle famiglie vive nella prima casa di proprietà).

Strano questo governo delle destre. Il primo atto del governo Berlusconi è stato quello di eliminare ogni tassa sulle eredità dei grandi patrimoni. Ora, mentre ha permesso ai ricchi di evitare ogni imposta di successione, sembra dire ai poveri di rinunciare a trasmettere ai propri figli, l'unico bene che molti, dopo anni di sacrifici, hanno costituito, ovvero la casa di abitazione. In particolare, agli anziani, sembra si suggerisca di vendere la nuda proprietà dell'alloggio così, in cambio di una liquidità che permetta di sostenere l'aumento dei prezzi e la perdita del potere di acquisto della propria pensione, le banche saranno quelle che erediteranno al posto dei figli.

E non c'è bisogno degli inviti di Tremonti e Berlusconi, ci pensa l'aggravamento della situazione sociale del Paese a determinare un incremento fortissimo di questo tipo di vendita (basta leggere i bollettini immobiliari delle grandi città).


Tagli e taglieggiamenti
Si annuncia una manovra economica pesante e ingiusta ai danni dei lavoratori dipendenti e dei pensionati. Dieci miliardi di euro (quasi 20 mila miliardi) di entrate una tantum e 5,5 (quasi 11 mila miliardi di lire) miliardi di euro di tagli strutturali.

Occorre, dapprima sgomberare il campo da equivoci. Come quello che sembra dire che sono i tagli strutturali quelli che colpiscono lo stato sociale e i redditi popolari. Il caso emblematico di misura una tantum è dato dalle cartolarizzazioni del patrimonio immobiliare pubblico.

Da quali tasche, alle fine, verranno prelevate alla fine le risorse per la cessione di questo patrimonio se non da quelle degli inquilini che occupano questi immobili e che, per la stragrande parte, è costituita da lavoratori, e pensionati (la parte residenziale) e da artigiani e commercianti (quella non residenziale)? In realtà, si tratta di un enorme travaso di ricchezza dai redditi da lavoro e da pensione verso la rendita.

Per i soli Enti Previdenziali Pubblici, si tratta di un volume pari a circa 500mila miliardi di lire. Chi abita e lavora in quegli edifici dovrà pagare ma, allo Stato, arriverà molto meno in quanto a fronte di una anticipazione di cassa (su questa manovra si fonda la cartolarizzazione), alla fine non arriverà granché in quanto non è prevista alcuna forma di determinazione di quanto le società veicolo tratterranno per l'intermediazione effettuata.

I cosiddetti tagli strutturali interesseranno ancora gli Enti locali (con una ricaduta sulle cittadinanze) e, infine, istruzione, mercato del lavoro e sistema pensionistico, assieme, naturalmente, alla sanità (il Fondo monetario ritorna sulla riproposizione dei tickets).

L'opposizione a questa impostazione di politica economica è necessaria e può rappresentare un primo banco di prova per qualificare l'opposizione politica e parlamentare al governo delle destre. Un banco di prova difficile e arduo. Il centro sinistra, nelle sue componente maggioritarie, infatti sembra assumere, nella critica al governo, il punto di vista fintamente rigorista e a senso unico del Fmi. Su quella strada non si va da nessuna parte: non si incontrano i movimenti, i conflitti sociali, non si qualifica socialmente l'opposizione.
Walter De Cesaris
(Giovedì 24 luglio 2003)

Fonte: Liberazione online



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