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Il nostro no alla guerra è senza Se e senza Ma - venerdì 7 febbraio 2003 at 18:04

Il discorso in aula del segretario di Rifondazione comunista
Il nostro no alla guerra è senza se e senza ma

Signori Presidenti, deputate e deputati, mi rivolgo ad ognuno di loro perché penso che il fatto che questa seduta non si concluda con un voto costituisca una menomazione della sovranità del Parlamento, un Parlamento oggi ammutolito di fronte al rischio grave del precipitare della guerra. Resta nel paese un vuoto cupo, inammissibile, secondo noi, colpevole. Forse questa stessa aula risente di questa lesione.
La maggioranza porta una responsabilità grave di questa manomissione, ma vorrei dire agli esponenti del centrosinistra, che spesso hanno sottolineato l'esigenza di una maggiore autorevolezza del Parlamento contro un arbitrario primato dell'esecutivo, che per nascondere le proprie divisioni interne non vale la pena pregiudicare le prerogative del Parlamento.

Tace il Parlamento, parla il Governo. E il Governo stesso sa che non rappresenta l'opinione prevalente nel paese, un paese avverso alla guerra, come l'Europa è avversa alla guerra. Basterebbe contro questa guerra una ragione etica.

E' stato detto autorevolmente, nei giorni scorsi, che la sola guerra ammissibile nel mondo di oggi è quella alla fame. Luis Ignacio da Silva, il popolare Lula, che guida il Brasile ha detto, a Porto Alegre come a Davos: verrà il giorno in cui tutti avranno un piatto in cui cibarsi ogni giorno. Vi chiedo: di quanti giorni, di quanti mesi, di quanti anni si allungherà l'attesa di questo giorno attraverso l'avventura della guerra?

***

Il Pontefice, citando un profeta come Geremia, ha parlato di un Dio che si ritrae nei cieli, come spaventato da questo mondo. Noi laici saremmo ugualmente disperati se non sapessimo guardare al popolo di porto Alegre, portatore oggi di un'altra ragione etica, la ragione etica che basterebbe a dire di no alla guerra. Ma le ragioni politiche sono pesanti come macigni. Il re - bisognerebbe dire l'imperatore - è nudo. E il suo discorso, signor Presidente del Consiglio, non è riuscito a nasconderlo.

Gli Usa hanno usato sostanzialmente per questa guerra due argomenti già falsificati dalla realtà. Non c'è nulla che leghi l'Iraq in maniera provata al terrorismo, come ha riconosciuto l'intelligence del principale alleato degli Stati Uniti d'America e sul piano delle armi micidiali le argomentazioni nordamericane sfiorano, anzi precipitano nel grottesco. Non si sa dove si trovino queste armi, l'unica cosa che si sa, signor Presidente del Consiglio, è da dove vengono: vengono dal Governo di Reagan e poi da quello di Bush padre, che negli anni ottanta hanno alimentato l'Iraq con i materiali per le armi batteriologiche e chimiche, compresa quell'antrace che arriva all'Iraq direttamente dal Pentagono degli Stati Uniti d'America.

Oggi Colin Powell dice una cosa su cui dovreste riflettere. Dice che è difficilmente comprensibile, per le persone normali, capire le ragioni per cui si può accedere a questa guerra. Signori del Governo, la democrazia è l'esercizio delle persone normali. Se le persone normali non possono capire le ragioni della guerra, la democrazia chiederebbe che non venisse fatta. In realtà, questa guerra gli Stati Uniti d'America l'avevano decisa da tempo, per ragioni inconfessabili: per le ragioni del controllo di una risorsa come il petrolio; di più, per il controllo di un'area geopoliticamente strategica come il Medio Oriente; in realtà, ancora più profondamente, per un potere imperiale che, in un mondo caratterizzato dall'ingiustizia e dall'instabilità, da una globalizzazione che non produce sviluppo, ma crisi, chiede, per impedire il cambiamento, una guerra imperiale. La strategia della guerra preventiva ne esprime la ratio, ma dovete pur riconoscere che quella strategia è incompatibile con la carta dell'Onu, come è incompatibile con l'articolo 11 della Costituzione italiana. In realtà, voi chiedete il ricorso all'Onu. Ma attenzione: il Consiglio di sicurezza non ha come materia disponibile la strategia della guerra preventiva, perché questa è incompatibile con la sua carta.

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Se il Consiglio di sicurezza dell'Onu desse via libera a questa guerra, la guerra, per ciò stesso, non diventerebbe più accettabile: sarebbe l'Onu che diventerebbe più lontana dai popoli, dai bisogni di questo mondo, e diventerebbe, sostanzialmente, prigioniera della potenza nordamericana e screditata.

Il no alla guerra è necessario per ricostruire un nuovo ordine mondiale, per combattere un sistema che è un sistema di guerra; per guadagnare quell'altro mondo possibile nel quale c'è bisogno non di un pacifismo assoluto, ma di un pacifismo relativo, quello attinente al nostro tempo.

E se non bastano le ragioni etiche e quelle politiche, allora - lo dico a voi, che tante volte avete usato questo argomento -, c'è il tema della sicurezza. Avete spesso usato questo argomento per una costruzione di legge e di ordine, per negare e limitare dei diritti, ed oggi sembrate non vedere cosa mette a rischio questa guerra. Non c'è nel mondo un conflitto di civiltà, ma questa guerra può costringere il mondo nella strettoia di un conflitto che può diventare di civiltà. Il terrorismo è nemico dell'umanità, ma voi, con questa guerra, invece che contrastarlo e combatterlo, lo alimentate. L'esperienza dell'Afghanistan è lì a dirvelo: Bin Laden e i terroristi non sono stati colpiti, e quel paese è stato in realtà devastato.
E persino le parole che, sembravano generose, del Presidente Consiglio, che diceva: sì, c'è questa guerra in Afghanistan, ma almeno compensiamola (se si può dire così) con la soluzione della questione palestinese, è di fronte ad uno scacco: la questione palestinese è risultata aggravata, non risolta, e neppure sulla via di una soluzione.

La guerra genera guerra, la guerra chiama il terrorismo, la guerra ed il terrorismo diventano le coppie che guardano a un mondo impossibile: questo sì, può costruire una vera e propria crisi di civiltà. Ed è per questo che noi diciamo con fermezza, pur consapevoli delle nostre modeste forze, ma consapevoli anche che queste nostre modeste forze stanno dentro un grande movimento: né un uomo, né un soldo per questa guerra; né un uomo, né una parte di questo nostro paese, né di terra, né di mare, né di cielo. Dobbiamo essere indisponibili a quella che è solo un'avventura di guerra infinita e indefinita.

Voi oggi ci impedite il voto come elemento di trasparenza democratica, in cui, di fronte ad una prospettiva di guerra, ognuno si assuma fino in fondo le sue responsabilità nell'unica forma decente e rigorosa, quella evangelica del «sia il tutto sì sì, il tuo no no»: non ci sono terze vie sulla guerra. Noi pronunciamo il nostro no di oggi e di domani, un no incondizionato: non aspettiamo il Consiglio di sicurezza dell'Onu, e temiamo la scivolata ulteriore di un organismo internazionale già purtroppo fagocitato dalle forze dell'impero.

Non in nostro nome, anche se non c'è il voto, si potrà portare l'Italia in questa guerra, e vorrei che voi avvertiste che la disobbedienza a questa guerra è l'unico linguaggio che noi possiamo opporvi in nome di un'altra civiltà. Questo linguaggio animerà questa Europa: il 15 febbraio, in tutte le capitali europee, il popolo della pace farà sentire la sua voce. E questo Parlamento muto sarà ancora più cupo di fronte a quelle voci, che interpreteranno anche la politica ammutolita, contro chi oggi tradisce la vocazione dell'Europa della pace, e persino di un voto del Parlamento europeo, e contro chi vuole oggi, in nome di una subalternità agli Usa, precipitare in una avventura pericolosa. E diversamente anche da chi capisce, ma non ha la forza per opporsi, il nostro è un no resoluto, irrevocabile ed incondizionato a questa guerra.


Fonte: liberazione online

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