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Il Papa: ''Pacem in terris'' - giovedì 19 dicembre 2002 at 13:10
Monsignor Martino, capo dicastero vaticano, ha presentato il messaggio papale per la pace: «La guerra preventiva è aggressione»
Città del Vaticano
Guerra preventiva? «E' senza dubbio una guerra di aggressione, non può rientrare nel concetto di "guerra giusta" perché in questo caso, prima della difesa, dovrebbe esserci un'offesa». La rappresaglia? «Mi ricordo il terrore che ci faceva quella parola in Italia al tempo del conflitto mondiale. No, la vendetta non fa parte della morale». E le potenze che minacciano di usare l'atomica? «La deterrenza nucleare e le bombe H non sono cose che avremmo dovuto portare nel XXI secolo. Il Papa ha ribadito che la guerra è un'avventura senza ritorno».
Così monsignor Renato Raffaele Martino, per molti anni osservatore vaticano all'Onu e da poche settimane presidente del Pontificio consiglio Giustizia e pace, demolisce punto per punto il credo bellico che impazza nelle cancellerie atlantiche.

L'arcivescovo, al quale l'ingresso in Curia non ha tolto smalto, traduce in cronaca il nuovo messaggio di Wojtyla per la prossima giornata della pace - 1° gennaio 2003 -, uno di quei testi che sono destinati a lasciare il segno nel pontificato. E' un papa controcorrente che rilancia come «impegno permanente» la Pacem in terris di Giovanni XXIII.

Tra il «disordine» mondiale di 40 anni fa e quello di oggi scorge analogie di fondo. A quel tempo, infatti, il Muro di Berlino era ancora fresco di calce e la divisione «attraversava l'umanità nel suo insieme, penetrando nel cuore e nella mente delle persone»; ad un certo punto la crisi dei missili a Cuba trascinò la terra ad un passo dalla catastrofe atomica. Eppure - sottolinea Giovanni Paolo II - il papa buono «non era d'accordo con coloro che ritenevano impossibile la pace». E vide giusto perché «interpretò le spinte profonde che già erano all'opera nella storia». «Malgrado le guerre e le minacce di guerra» stava crescendo «la consapevolezza dei diritti umani», «sorsero ben presto i movimenti» per affermarli e la «libertà fu riconosciuta componente indispensabile dell'impegno per la pace» come la giustizia e l'amore. Alla fine caddero i muri, a cominciare dalla «rivoluzione non violenta» dell'est.

E adesso? Adesso, di nuovo, il mondo è «in disordine» con parecchie complicazioni. Innanzi tutto spesso non si rispettano gli impegni internazionali assunti, in particolare «verso i poveri» e ciò provoca sofferenza, ingiustizia, disuguaglianza, sfiducia nei mezzi non violenti. La «verità» - dice il Papa - è la premessa di una pace durevole, i patti vanno rispettati. Sono nemici di un cultura di pace tutti coloro che trattano la politica internazionale come una «zona franca» sottratta alle leggi morali e al rispetto della «dignità e dei diritti della persona», coloro che lasciano in campo soltanto la «propaganda», peggio ancora se «servisse a dissimulare intenzioni inconfessabili». E' una frase densa di sottintesi politici, che il Papa usa non per caso subito dopo aver parlato «della lotta fratricida che scuote la Terrasanta» dove - osserva - «una catena infinita di violenze e di vendette ha frantumato ogni tentativo di dialogo serio». In Medio Oriente - aggiunge - c'è «uno scontro di interessi» internazionali.

In tutto il mondo, invece, è sempre più divaricata la «forbice» tra i paesi tecnologicamente avanzati dove vengono promossi «nuovi diritti» e quelli poveri dove invece mancano «il cibo, l'acqua, la casa, l'autodeterminazione e l'indipendenza».

Wojtyla sa che molti accoglieranno il suo discorso come una predica nel deserto, ma li previene. «Non è forse questo - domanda - il tempo nel quale tutti devono collaborare alla costituzione di una nuova organizzazione dell'intera famiglia umana?». Le indicazioni provengono ancora una volta da Giovanni XXIII: fu lui a indicare un concetto di «bene comune universale», i cui valori fondanti sono scritti nella Dichiarazione dei diritti dell'uomo del 1948 e nel ruolo di pace che dovrebbe spettare alle Nazioni unite. Non un super stato che inglobi tutti i paesi ma «l'accelerazione di processi per rispondere alla universale domanda di modi democratici nell'esercizio dell'autorità politica nazionale e internazionale».

Proprio mentre gli Usa attaccano l'autonomia del Palazzo di Vetro, il Vaticano lo difende a spada tratta e ne sollecita una riforma democratica.

Monsignor Martino assicura che «sarà l'ultimo a credere ad una guerra dell'Iraq» perché vuole sostenere fino in fondo la linea delle ispezioni, dei controlli, del dialogo per evitare le bombe. Gli bastano due conti per dimostrare che «non si potrà sfamare il mondo finché si spenderanno 800 miliardi di dollari per le armi». Il capo dicastero vaticano è perentorio contro la guerra: «Se non si procede al disarmo - afferma - sarà disarmata la pace» e, dopo l'11 settembre, «la risposta al terrorismo non può essere la violenza».

Nel suo messaggio Wojtyla cita in modo diretto soltanto il dramma della Terrasanta, ma è inevitabile leggervi una chiara opposizione alla imminente guerra contro l'Iraq.

Destinato a durare oltre i fatti contingenti, il messaggio papale orienta i fedeli a saper riconoscere nel profondo le tendenze in grado di contrastare il pensiero dominante. E' il classico Wojtyla, che si tratti di proclamare la pace mentre gli Usa scaldano i missili, oppure di sostenere la morale sessuale cattolica anche contro il preservativo (annunciato a gennaio un documento vaticano molto tradizionalista in materia). Ma va dato atto a monsignor Martino di saper distinguere. Qualcuno gli domanda, infatti, come mai appoggi tanto l'Onu quando la Santa sede è rimasta in minoranza nelle conferenze mondiali sulla pianificazione delle nascite. «Proprio per questo vogliamo esserci», rispone, per difendere le posizioni. D'altra parte, non è l'unico punto di contrasto tra Santa sede e scelte internazionali. Una giornalista fa notare al vescovo che anche Israele e il Pakistan posseggono l'atomica e, malgrado questo, nessuno muove un dito per portargliela via. Martino replica: «Lo so bene, è come ha detto lei, perché me lo domanda?»
Fulvio Fania

Fonte: Liberazione online

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