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Francesco Guccini, ''Ora canto il G8 di Genova'' - giovedì 19 febbraio 2004 at 14:59

Il cantautore bolognese parla del suo nuovo album "Ritratti"
Da Ulisse al Che Guevara di Vasquez Montalban
Francesco Guccini
"Ora canto il G8 di Genova"
di GIACOMO PELLICCIOTTI

MILANO - Quando cominciavamo a essere un po' stanchi dei cantautori storici che si ripetono senza l'ispirazione dei giorni migliori, rassegnati a superflui dischi "live" o a inflazionate "cover", è tonificante farsi spiazzare dal nuovo album di Francesco Guccini, il diciottesimo della serie, che scuote come un terremoto di acuminate parole. Esce domani Ritratti e contiene nove canzoni. Tra le sei inedite, spiccano quelle dedicate a Carlo Giuliani e a due navigatori come Ulisse e Cristoforo Colombo.

C'è anche La tua libertà, incisa nel 1971, ma mai pubblicata integralmente su cd. "È stata un'idea della Emi, io non l'avrei messa", commenta il cantautore di Pavana. Due gli omaggi ad autori da lui stimati: Canzone per il Che, dedicata a Guevara su testo dello scrittore scomparso Manuel Vasquez Montalban, e La ziatta del cantautore catalano Juan Manuel Serrat, tradotta da Guccini in dialetto modenese.

La musica è sempre quella, di sapore mediterraneo, con le corde ispanicheggianti dell'argentino Flaco Biondini e le tastiere "orchestrali" di Vince Tempera, gli inseparabili, ma i versi sono quelli di un autentico vate che, nel descrivere la realtà, vola alto, trascende e sfoggia una sorprendente epicità, senza retorica né autocompiacimento.

In Piazza Alimonda, che ricorda i fatti del G8 a Genova con gli scontri tra i no global e la polizia, culminati il 20 luglio 2001 nella morte di Carlo Giuliani, Guccini evita la demagogia della più scontata canzone politica, ricostruendo con la sua fantasia il clima di quelle giornate violente. E lo fa con tutto il dramma e la tragedia incombenti, ma anche con disarmanti squarci di tenerezza, senza fare nomi o perdersi nelle minuzie della cronaca, ma trovando l'afflato del grande poeta lirico.

Un capolavoro che Guccini racconta così: "Sono stato diverse volte a Genova negli ultimi tempi. L'ho guardata bene, ho visitato anche piazza Alimonda e ho notato che c'è davvero un'aiuola triangolare. Non è colpa mia se dentro c'è la salvia splendens con il fiore rosso. L'idea è venuta di lì. È l'ultima canzone che ho scritto, l'ho finita il giorno di Santo Stefano. Qualche settimana fa mi ha chiamato il padre di Carlo Giuliani per altri motivi e ho capito che sapeva della canzone. Si era già sparsa la voce, non so come. Mi ha detto che l'avrebbe ascoltata".

Fa venire in mente un po' "La locomotiva"...
E lui serafico: "È una ballata vecchia maniera, molto gucciniana".

L'Ulisse del suo Odysseus è un montanaro come lei.
Sogghigna soddisfatto: "Lo so che è una teoria molto tendenziosa. Era da tempo che aspiravo a una canzone sul mare che non parlasse di ombrelloni, passeggiate sul lungomare e belle spiagge. Ho pensato che un grande navigatore può anche essere uno come me. In fondo la pietrosa Itaca poteva anche essere un'isola collinare come la Sardegna, che non è terra di celebri naviganti. È una metafora del vivere che s'ispira a vari scrittori di cose marinaresche". Che sono citati diligentemente in copertina: Omero, Dante, Foscolo, Costantino Kavafis, Jean-Claude Izzo e lo sconosciuto A. Prandi che, svela Francesco, "è mio cugino di Carpi che ha scritto cose pregevoli".

Cosa l'ha attratto nel testo di Montalban sul "Che"?
"Sono rimasto affascinato prima dalla musica di Flaco Biondini, che aveva inserito il pezzo in una compilation su Guevara. Il testo in spagnolo è basato su parole dei discorsi del Che e mi è sembrato molto buono".

In Una canzone spiega il difficile mestiere di scrivere un testo. La sua scrittura, con gli anni, si è fatta più densa, più profonda, più da poeta che da chansonnier.
"Forse ora somiglia più alla sceneggiatura di un film, non saprei dire. È più difficile di un tempo. Una volta ero velocissimo, adesso su una o due strofe ci posso star su parecchio, le lascio e poi ci ritorno. Un libro mi ci metto e lo scrivo, anche perché le date di consegna incombono. E lo scrivo al computer. Una canzone la devo scrivere sul foglio, devo avere un contatto fisico non solo con le parole, ma anche con i ghirigori che faccio quando non mi viene".

Al contro-festival di Mantova cosa va a fare?
"Non a cantare, vado solo a presentare il mio libro Cittanova blues, tutto qui".

E del Festival di Sanremo edizione Tony Renis cosa pensa?
"Non sono per i festival, ultimamente sono perplesso perfino del Club Tenco. Devo essere invecchiato, non riesco più a trovare lo spirito degli anni d'oro".

Come andranno le elezioni a Bologna?
"Dicono che non sarà una passeggiata, ma che alla fine vincerà Cofferati. Per scaramanzia nessuno si vuol sbilanciare troppo. I tassisti rischiano di essere la cartina di tornasole della vicenda: prima erano stanchi di Guazzaloca, ora sembra che ci abbiano ripensato. Ma Cofferati mi pare una persona degna e preparatissima. Sono andato in giro per la città con lui, per spiegargli cos'è la Cirenaica, il quartiere dov'è anche la mia via Paolo Fabbri".

Il prossimo tour sarà lungo e a pezzetti come piace a lei?
"Sono una persona di buon senso e se girassi ogni sera, come fanno molti colleghi, sarei costretto a ripetermi. Amo improvvisare e lo posso fare solo centellinando le esibizioni. Un giorno ho chiesto a Giorgio Gaber: ma tu come fai? Aveva uno spirito molto diverso dal mio. Certi artisti soffrono lontani dal palco".

(19 febbraio 2004)


Fonte: La Repubblica online


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