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Dopo referendum, Bertinotti contestato nel partito - martedì 17 giugno 2003 at 23:55
Dopo il referendum, Bertinotti contestato nel partito

Da una parte c’è l’Ulivo, che tende la mano a Rifondazione comunista in vista delle politiche del 2006. Dall’altra c’è Fausto Bertinotti, che questa mano è pronto a stringerla, seppur a determinate condizioni. In mezzo c’è però il rischio che il segretario del Prc si ritrovi in difficoltà nel suo partito. Ne è prova la riunione della direzione di ieri, dove la linea Bertinotti (che prevede di avviare un accordo tra tutte le opposizioni al governo Berlusconi) è passata di misura, non ottenendo il voto degli ex cossuttiani dell’Ernesto e incassando il voto contrario della componente trotzkista di Marco Ferrando. E forse non è neanche un caso se nelle ultime 48 ore sono circolate a Montecitorio voci (prontamente smentite dagli uomini a lui più vicini) sulle possibili dimissioni di Bertinotti dalla segreteria del partito.

Il tema del confronto tra Ulivo e Rifondazione è tornato in primo piano con il fallimento del referendum sull’articolo 18: «Potevamo avere di fronte un’autostrada, ma ora siamo su un sentiero di montagna», ha commentato a caldo Bertinotti. Che però non ha escluso che questa strada, per quanto impervia e in salita, sia percorribile. Allo stesso tempo, da parte dell’Ulivo c’è stata grande attenzione a non calcare la mano sull’esito referendario, e anzi è stato rinnovato al Prc l’invito a proseguire nella direzione segnata con le elezioni amministrative.

Ulteriore passo in questo senso è stato fatto ieri dal diessino Antonio Bassolino. Il referendum rappresenta «l’ultimo atto di una fase conflittuale che bisogna chiudere», ha detto auspicando un accordo politico-programmatico tra Ulivo e Rifondazione (un accordo «leale» e che vada «al di là» di quello del ‘96). Il presidente della Campania ha anche giudicato necessario, in caso di vittoria alle prossime elezioni, nominare ministri anche esponenti del Prc. Un’apertura a Bertinotti che ha incassato nel centrosinistra molti consensi. Le obiezioni, dove ci sono state, non hanno riguardato il merito ma i tempi, l’opportunità cioè di parlare oggi di chi dovrà far parte di un futuro esecutivo. Per il resto, nello schieramento di centrosinistra è stato riconosciuto che il patto di desistenza elettorale non è più proponibile, e che quello che serve ora è una convergenza su un programma di governo. «In un contesto del genere, di vera intesa politico-programmatica è chiaro che tutti coloro che partecipano all’alleanza partecipano al governo», ha osservato il coordinatore della Quercia Vannino Chiti. Che ha però messo in chiaro una condizione: «In base a questo accordo Ulivo, Prc e Idv devono dire agli italiani che accettano di sostenere un candidato premier comune e, se vincono le elezioni, di appoggiarlo lealmente per tutta la legislatura».

A irrigidirsi di fronte alla proposta di Bassolino è stato soprattutto l’Udeur perché, ha detto il capogruppo alla Camera Pino Pisicchio, la presenza di ministri del Prc «significherebbe acquisire l’avvenuto spostamento a sinistra della coalizione». Si è mostrato pessimista sulla possibilità di un accordo di governo con Rifondazione anche il segretario del Pdci Oliviero Diliberto: «Se il Prc lo accettasse - ha detto - sarebbe implicitamente e drasticamente un’autocritica rispetto alla caduta del governo Prodi e alla violenta opposizione al centrosinistra, quando Bertinotti diceva che centrodestra e centrosinistra pari sono».

Ma gli ostacoli sul percorso unitario sono ora soprattutto all’interno di Rifondazione, come ha dimostrato la direzione di ieri. Bertinotti ha apprezzato l’apertura di Bassolino («È la fine del progetto accarezzato di distruggere il Prc») e confermato l’intenzione di proseguire sulla strada imboccata alle amministrative, avviando un confronto «non più a due» con il centrosinistra, ma tra «molti» interlocutori: Prc, Ulivo, movimenti, associazioni, sindacato. Il segretario si è però trovato a fare i conti con il dissenso di una parte della sua stessa maggioranza (l’area dell’Ernesto guidata da Claudio Grassi) e della minoranza trotzkista di Ferrando, che ha chiesto la convocazione di un congresso straordinario. Per placare i malumori Bertinotti (che ha giudicato «incongruo» un dibattito congressuale «perché siamo rigorosamente dentro la linea dell’ultimo congresso») ha precisato che «dire che l’accordo è già fatto è grottesco, così come pretendere un esito prestabilito del percorso. C’è una linea di marcia per la ricerca di un’intesa tra molti, ma che la cosa riesca non è detto». Ferrando ha promesso comunque battaglia: «Avvieremo una campagna in tutto il partito contro una ipotesi di accordo di governo con i liberali dell’Ulivo ed i potentati economici a cui essi fanno riferimento». Una pressione da sinistra a cui si è aggiunta, da destra, quella degli ex cossuttiani dell’Ernesto, che hanno presentato in direzione un loro documento distinto da quello di Bertinotti per chiedere «un mutamento dello stile di lavoro e del clima interno al partito» e una «riflessione più approfondita» sul risultato del referendum e del voto amministrativo. Agli esponenti dell’Ernesto si è unito ieri anche Sandro Curzi, che è tornato sullo scontro con Bertinotti sul cambio al vertice del Corriere della Sera: «Se faccio il direttore del giornale lo faccio per davvero. Non sono un direttore di facciata». Giunti al voto, l’ordine del giorno con la linea del segretario è stato approvato con 20 voti favorevoli, 11 astensioni (area Ernesto) e 5 voti contrari (minoranza di sinistra). Il dibattito proseguirà alla prossima Direzione, convocata per il 24 giugno.
Simone Collini
(17.06.2003)

Fonte: L'Unità online



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