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 Sotto un cielo indifferente di Vasken Berberian
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Inserito il - 10 giugno 2015 : 12:08:13  Link diretto a questa discussione  Mostra Profilo  Visita l'Homepage di Admin Invia a Admin un Messaggio Privato Aggiungi Admin alla lista amici


Lo scrittore e regista armeno Vasken Berberian è certamente bravo nel dipingere le scene del suo romanzo Sotto un cielo indifferente (2013), specie quelle crude, ma non tanto a descrivere i sentimenti. Anzi, in questo caso si avverte nell'opera una certa afasia, generata da un'aporia, da una difficoltà profonda, da una comprensibile impossibilità antropologica a definire i contorni labili del sentimento. Da un'impossibilità che è non solo impotenza, ma anche, sembra, una resa.
Non si tratta, ovviamente, del classico silenzio che mette in comunicazione intima alcuni personaggi delle sentimentali vicende flaubertiane, ma di una incapacità di manifestare un sentimento o un affetto tout court: di una rigidità interiore, di una freddezza, sorta da una violenza subìta, da uno strappo sofferto, da una ferita patita, da un trauma rimosso. Già, perché nei traumi dei personaggi di Berberian si può e si deve cogliere naturalmente quello subìto dal popolo armeno. Così come nelle nevrosi dei personaggi de La scelta di Sophie di William Styron (1976) non si possono non riconoscere il dramma e il massacro patito dal popolo ebraico.
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La felicità e la bontà, scrive inoltre Berberian, sono come farfalle bianche (p. 414): passano vicino e persino sfiorano le persone. Ma queste non se ne accorgono nemmeno, indifferenti come sono, a tutto, nella loro deiezione, immerse nelle loro preoccupazioni quotidiane. E in ciò esse, queste farfalle bianche, questi simboli dell’anima (psyché vuol dire anche "anima" in greco), sono come il Dio di Giacobbe, un Dio che è già in questo mondo e lui non lo sapeva; è come l'esistenza, come l'egghýteron paolino, come il più prossimo, i quali, come magnifiche presenze (per ricordare un film di Ferzan Özpetek) ci sfiorano senza che noi, distratti e perduti come siamo fra mille rivoli secondari, ce ne avvediamo.
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Ne segue una povertà del popolo armeno e quindi anche un'emigrazione. 3 milioni sono quelli che si trovano in Armenia, 8 milioni quelli che vivono nella diaspora: in Russia, negli Stati Uniti, in Francia, in Italia.
Le tensioni e i fatti tragici che hanno portato al Metz Yeghérn, al genocidio armeno, al Grande Male, rimontano a fine Ottocento, al sultanato di Abdül-Hamid, fino alla esclusione di massa operata dai Giovani Turchi nel 1915 con l’aiuto del II Reich guglielmino.
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Continua


Franco Di Giorgi
Ivrea, 8 giugno 2015



Sotto un cielo indifferente






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