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mimc
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Inviato il il 19/09/2003 :  11:43:15  Guarda il profilo di  Visita il Sito di mimc  Rispondi Citando
Fine del liberismo protezionista

A Cancun è fallito un modello contraddittorio e ambiguo che ha finora strozzato i paesi del Sud. Un nuovo ruolo per gli stati nazionali
Il fallimento del Wto a Cancun, più netto e irreparabile che a Seattle, va innanzitutto a merito del movimento mondiale "no-global". Nonostante molti abbiano cercato di minimizzare tale merito, è indubbio che il movimento ha indebolito fortemente, nell'immaginario globale collettivo, il dominio del "pensiero unico", diffondendo con forza un'altra lettura possibile della società.
E' altrettanto vero che il fracaso di Cancun travolge, ci auguriamo definitivamente, alcune strampalate e irreali letture della realtà capitalistica attuale che avevano finora influenzato parecchio le opposizioni anti-liberiste: e non solo la tesi di un globo pacificato sotto il comando di un Impero senza ostacoli; ma anche quella, più diffusa e insidiosa perché più verosimile, di un mondo dominato da un pugno di multinazionali che lo gestivano politicamente attraverso organi transnazionali svincolati da ogni appartenenza o possibile interferenza statuale, come il Wti, l'Fmi o la Banca Mondiale.

Gli stati nazionali, persino quelli di assoluta inconsistenza come Antigua, il Burkina Faso o Mauritius, sono entrati in campo, per rappresentare gli interessi della propria economia (e capitale) nazionale, ed hanno messo a nudo il ruolo dei presunti organi "sopranazionali".


L'ossimoro del capitale
Una volta venuta meno - a causa della volontà degli Usa - la "concertazione" tra le principali potenze, le contraddizioni sono esplose clamorosamente: ognuno ha rimesso al centro il proprio interesse (capitalistico) nazionale, e nella crisi delle alleanze tradizionali sia i paesi (capitalisticamente) emergenti sia i più sottomessi hanno contribuito a rompere il giocattolo. Ma, soprattutto, mai come questa volta è apparsa la natura assolutamente contraddittoria, ideologicamente truffaldina e mistificata, dell'attuale capitalismo e del suo sedicente "liberismo". Sono stati i paesi "liberisti" a farsi paladini del protezionismo; e i paesi più deboli a chiedere, almeno per l'agricoltura, la fine del protezionismo. E' apparso chiarissimo che il presunto liberismo è in realtà qualcosa che con un ossimoro potremmo definire "liberismo protezionista": e cioè, un'arrogante miscela con la quale i paesi più forti pretenderebbero di proteggere totalmente le proprie merci e di abbattere le barriere protezionistiche solo negli altri paesi.

Si è visto anche come, in questa gara al protezionismo per sé e al liberismo per gli altri, l'Europa o il Giappone non siano secondi a nessuno. Incapaci di contrastare militarmente gli Usa, l'Unione europea o il Giappone non sono potenze più "soft" quando si tratta di imporre al mondo il dominio delle proprie merci: e chi si illude di contrapporre ai cattivi Usa i "buoni" europei non ha speranze. Nella lotta anticapitalista (perchè oggi dire antiliberista non basta più), il movimento no-global ha trovato apparentemente parecchi alleati. Ma attenzione: è stato il gruppo dei paesi africani, caraibici e del Pacifico (i 61) a opporsi con più risolutezza al "liberismo protezionista"; i 21 (o 23) guidati da Brasile, India, Cina e Sudafrica, hanno giocato una partita molto più complessa, esprimendo in parte gli interessi dei popoli ma in altrettanta misura gli interessi dei loro capitalismi "rampanti" che si candidano ad essere le grandi potenze del prossimo decennio.

E allora è bene che il movimento non confonda, magari abbagliato dalla presenza del Brasile di Lula o del Venezuela di Chavez, convergenze tattiche, anche di un certo respiro, con alleanze strategiche: così come sulla guerra abbiamo accolto con favore la "diserzione" di Germania e Francia ma non l'abbiamo interpretata come ostilità alla guerra e al dominio militare, così oggi non possiamo considerare i 21 (o 23) gli alfieri di un'opposizione organica al liberismo protezionista. Né dobbiamo dimenticare che se le "terze vie" europeiste (il liberismo "temperato") delle varie sinistre liberiste sono quelle che più escono a pezzi da Cancun (vale per Lamy o per i tedeschi, ma anche per Prodi, Rutelli o D'Alema), gli Usa hanno già abbondantemente assorbito la sconfitta: anzi la useranno per ribadire la loro volontà di non "concertare" nulla e di procedere sulla via dei puri rapporti di forza, esattamente come sul piano militare. Certo, questo aumenterà il "caos di sistema" e aprirà nuovi varchi all'azione popolare, ma estenderà anche il campo d'azione della guerra permanente.


Gli amici e i nemici
In conclusione, si apre per il movimento una fase assai fertile: dove però alla complessità della situazione, all'oramai lampante esplosione dello scontro intercapitalistico, deve corrispondere una maggior articolazione analitica e un'azione politica e programmatica molto più puntuale, che - a partire dalla mobilitazione del 4 ottobre, passando per lo scontro sociale dell'autunno e per il Fse di Parigi, fino al Fsm di Mumbay - delinei un programma sociale e politico organicamente ostile al "liberismo protezionista", che serva anche a distinguere, con chiarezza e al di là delle sigle, amici, compagni di strada (di più o meno lunga durata), avversari e irriducibili nemici.

Piero Bernocchi

(19 settembre 2003)
Fonte: www.Liberazione.it

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