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 Dasà
 Rinnovare o conservare nella 'Ncrinata di Dasà
 Tradizione e Potere: un binomio perverso

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C O N T R O L L A    D I S C U S S I O N E
mimc Inviato - 04/05/2003 : 01:39:07
Tradizione e Potere: un binomio perverso -
Ho letto con interesse la proposta del Forum di avviare un dibattito tra i lettori del giornale virtuale sul tema “Rinnovare o Conservare” che riguarda alcuni aspetti legati alla tradizione della località di Dasà che penso abbia riferimento ad altre analoghe tradizioni presenti nella zona e che rappresentano il patrimonio culturale della vostra comunità.
Molti anni indietro ero stato inviato per problemi di lavoro in missione a Montorio al Vomano, un accogliente paese dell’entroterra abruzzese ad una ventina di chilometri da Teramo, dove vi sono rimasto per tre anni.
Abitualmente nel fine settimana rientravo ad Aosta, città in cui ero residente dall’inizio degli anni sessanta. Ma qualche volta andavo anche in Puglia, regione natale di mio padre dove si era ritirato nel momento in cui era andato in pensione.
Mio padre aveva conosciuto mia madre durante il servizio militare a Reggio Calabria e poi si erano sposati.
All’inizio degli anni ’40 mio padre per motivi di lavoro era stato mandato in un paesino della Piana, a Melicucco, e dopo qualche anno si era trasferito a Polistena, dove io ho frequentato per un paio di anni, prima di rientrare a Reggio, la locale scuola elementare, di cui conservo ancora dei cari ricordi.
Di quegli anni rammento ancora le funzioni religiose che si svolgevano in coincidenza con la Settimana Santa ed in particolare le processioni del Venerdì Santo, con la sfilata delle “Vare” rappresentanti Cristo morto e la Madonna vestita di nero. A questi ricordi si aggiunge la coreografia forte e violenta della sfilata dei “flagellanti”, che indossavano dei veri e propri mantelli di spine, per sciogliere qualche “voto”, e “l’Affruntata” del giorno della Resurrezione.
Quando sono rientrato con la mia famiglia a Reggio queste manifestazioni si limitavano alla sfilata delle “varette” ma con il tempo si esaurirono (anche materialmente) e qualche isolata “vara” restava esposta soltanto in qualche chiesa.
Nel corso della mia permanenza in Abruzzo un anno decisi di non rientrare alla mia residenza e di restare a fare la Pasqua in loco. Così il Venerdì Santo mi recai a Teramo per assistere alle manifestazioni religiose che venivano organizzate in questa città, e grande fu la mia emozione, anche se nel frattempo avevo maturato una concezione alquanto critica della religiosità, quando cominciarono a sfilare in processione gli incappucciati delle varie congreghe e le “vare” con il Cristo morto e la Madonna vestita di nero, che non avevo più avuto occasione di rivedere da oltre trent’anni.
Un paio di giorni indietro, poi, ho letto sulla gazzetta altomesima che a Carmagnola (TO) è stata proposta, ad iniziativa di un gruppo di immigrati della vostra comunità, la processione dell’Affruntata, che ha riscosso un enorme successo ed una forte emozione, e che ha riproposto, anche se in una terra diversa da quella d’origine, una tradizione tipica della cultura religiosa del Mezzogiorno.
Tutto ciò mi ha riportato alla memoria gli anni dei miei studi universitari a Torino e, soprattutto, un esame al quale avevo partecipato in qualità di candidato che riguardava la “Sociologia della Conoscenza”.
Erano gli anni della contestazione ed il docente era un noto esponente di un gruppo extraparlamentare di “Autonomia Operaia”, con il quale poi si instaurò un cordiale rapporto di amicizia.
In quegli anni non era cosa inusuale che assistendo ad un esame uno dei candidati “mettesse il becco” nel corso dell’interrogazione per fare delle osservazioni o delle critiche sugli argomenti che il docente proponeva all’esaminando.
La Valle d’Aosta è una regione che, al pari della Calabria, conserva delle forti tradizioni sugli avvenimenti del passato. Basti pensare che la Fiera di Sant’Orso si riproduce ormai da più di mille anni e tante altre manifestazioni locali sono diventate un avvenimento così assiduo nei vari paesi di questa comunità da richiamare turisti anche dalla Svizzera e dalla Francia, ma anche da altre parti del mondo.
Questo professore nel momento di chiamare un nuovo candidato si accorse che questi era un valdostano e si era lasciato andare ad alcune considerazioni sulla validità di alcune tradizioni della Valle d’Aosta definendole come avvenimenti di cultura e di genuina espressione popolare.
Mi permisi di “mettere il becco” e feci notare al professore che le tradizioni fino a quando si limitano a riproporre avvenimenti del passato legati alla “genuina” tradizione popolare possono essere considerati un fatto accettabile perché ripropongono spaccati di antropologia culturale utili per rafforzare il senso di appartenenza di una comunità. Ma per una regione come la Valle d’Aosta, con una forte presenza di immigrati e con un gruppo locale monolitico e politicamente dominante, l’utilizzo della tradizione in chiave di potere potrebbe diventare un fatto negativo perché potrebbe essere strumentalmente utilizzata per creare elementi di divisioni tra il gruppo indigeno e quello immigrato innescando ad arte tensioni e steccati per tenere disuniti i due gruppi e poter gestire in chiave clientelare il potere, bloccando anche gli eventuali cambiamenti nel modo di far politica che potrebbero emergere in una comunità in crescita e per certi versi eterogenea.
L’osservazione fu accolta favorevolmente da quel docente che ammise di non aver mai esaminato sotto quell’aspetto la tradizione e che il mio intervento gli avrebbe consentito qualche riflessione critica in futuro quando, per motivi di studio, avrebbe affrontato quell’argomento.
Oggi, nel momento in cui il Forum ripropone l’argomento della tradizione mi viene spontanea la risposta che non può essere diversa da quella che tanti anni indietro feci osservare a quel docente.
“Rinnovare o conservare” sono due aspetti identici di una stessa domanda, ma a secondo di come il problema viene esaminato o gestito potrebbe non consentirci di fornire delle risposte univoche.
Infatti, se affrontiamo il problema del rinnovamento di una società la risposta non può che essere affermativa perché il rinnovamento migliora e rende le persone più disponibili ai cambiamenti.
Ma per la tradizione può valere la stessa risposta?
Dal mio punto di vista, no! Perché una tradizione, al massimo, si può riscoprire perché era stata dimenticata e si vuole riproporre per farla conoscere a quanti ne ignoravano l’esistenza, spinti a ciò dal bisogno di rinsaldare il vincolo di appartenenza ad una comunità. Ma tale riproposizione non può che essere fornita proprio in chiave di “conservazione” altrimenti verrebbe alterata e perderebbe la sua caratteristica originaria.
Ma nel momento che si avvia questo processo occorre, questo sì, vigilare affinchè quella tradizione venga presentata solo in chiave antropologica e prestando particolare attenzione che questa non venga utilizzata strumentalmente da un gruppo politico in chiave di conservazione per riprodurre il proprio potere o per realizzare un particolare tornaconto di parte che con la tradizione non ha nulla da spartire.

Santoro Salvatore Armando – Lillianes (AO)

Salv.arm.santoro@tiscali.it


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